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NON COMBATTONO I CAPI DI BESTIAME

Guerra civile americana: quale asimmetria?


nicola zotti


Il mese scorso ho raccolto e vi ho sottoposto qualche idea su un tema di una certa importanza nel pensiero strategico: presentandovi una personalità che immagino fosse sconosciuta ai più, James W. Ripley, dal 1861 al 1863 Chief of Army Ordnance Department dell'Unione, ho cercato di mostrarvi come in un conflitto l'asimmetria derivante dalla tecnologia sia da dare tutt'altro che per scontata. Una tecnologia non si afferma spontaneamente, ma le si possono opporre delle resistenze di varia natora e anche non prive di ragioni.

In un altro testo, di molto precedente, sempre in tema di asimmetria tecnologica avevo ricordato il caso della Mitrailleuse, la cui adozione da parte dell’Esercito francese, durante la guerra Franco-prussiana, fu prematura perché priva di una corretta dottrina tattica d’uso che ne rendesse efficiente l’impiego.

Questo mese (agosto 2012) vorrei aggiungere un’altra tessera a questo quadro, tornando ancora una volta ad aiutarmi con il generoso esempio che ci è fornito dalla Guerra civile americana.

Qualche cifra per cominciare il Nord iniziò la guerra con una popolazione di 22,1 milioni di cittadini e 344.000 schiavi liberati contro una popolazione sudista di 5,4 milioni di bianchi, 3,5 milioni di schiavi e 133.000 neri liberi.

Nel 1860 il Nord ospitava oltre 110.000 stabilimenti manifatturieri contro i 18.000 del Sud, producendo il 94% dell’acciaio e il 97% delle armi. Il Nord superava il Sud persino nella produzione agricola: con il 65% del terreno posto a coltivazione, il 60% del bestiame, il 67% del granturco e l’80% del grano.

Una considerevole “asimmetria” strategica che già per sommi capi tutti conosciamo o di cui abbiamo sentito parlare. Tanto conosciuta e consolidata, che non vi sarà facile dimenticarla e considerarla nulla.

E nulla in effetti era perché non sono i capi di bestiame o le tonnellate di grano a combattere le battaglie, né le popolazioni in quanto tali: ma gli eserciti, che devono essere armati e nutriti da organizzazioni dedicate a questo scopo, raccogliendo e impiegando le risorse umane ed economiche affinché questo avvenga.

All’inizio della guerra, né l’Unione né, tanto meno, la Confederazione disponevano di queste organizzazioni perché non erano Stati nel senso che noi moderni diamo a questo termine, né si avvalevano di strutture finanziarie e di una cultura fiscale capaci di raccogliere l’immenso quantitativo di denaro necessario alla guerra.

Il concetto di “buona amministrazione” statale, ad esempio, comportava l’assenza di una banca federale e quindi ogni transazione era regolata localmente e, per di più, in contanti!

Quello che sarebbe stato il lavoro di pochi minuti di un impiegato, quindi, si traduceva in spostamenti di oro da un punto all’altro del paese, con la gentile ospitalità di banche private, che fungevano da intermediari.

La tradizione americana di basse tassazioni, poi, comportava che una guerra venisse pagata sostanzialmente con prestiti ad interesse, mentre i ricavi fiscali erano destinati alle spese correnti.

Ma se questo sistema poteva funzionare con guerre “piccole” come quella del 1812 (contro il Regno Unito) o la guerra Texana (contro il Messico), è comprensibile che non fosse un sistema all’altezza delle necessità di un conflitto vorace quanto la Guerra civile.

Il governo Federale nel 1861 provò a seguire la strada conosciuta ma si rivelò disastrosa: un lieve aumento delle tasse e una consistente emissione di titoli che le banche dovevano acquistare in contanti e rivendere ai loro clienti, ebbe come effetto una contrazione delle riserve liquide che causò problemi seri al sistema economico. Senza contare che per i primi giorni del 1862 il Governo era già al verde e privo dei mezzi per proseguire la guerra.

Al Sud non stavano meglio: stesso sistema e stesso fallimento. Per ragioni politiche non vennero tassati i possedimenti terrieri e gli schiavi fino al 1864, ma si procedette con tassazioni marginali e prestiti obbligati con pagamento a fine guerra e “vittoria ottenuta”: in due anni l’inflazione salì al 600% dall’inizio della guerra e le tasse vennero per forza di cose riscosse in natura con l’esplosione di un risentimento popolare e con la distruzione del tessuto economico del Sud.

Diversa invece fu la risposta al Nord. Qui abbondavano imprenditori e finanzieri tanto coinvolti nella guerra, anche per interesse personale, e soprattutto tanto addentro ai meccanismi di una moderna economia, da poter fornire i consigli giusti.

Da questo confronto tra esponenti economici nordisti e Governo unionista scaturì una rivoluzione economico-militare che rappresentò la vera asimmetria del conflitto: la guerra fu finanziata con un sapiente mix di tasse proporzionali sul reddito, prestiti e stampa di moneta che riempì le casse dello stato consentendo di armare e nutrire quei 2,1 milioni di truppe che l’Unione seppe mettere in campo contro gli 880.000 Sudisti.

Con un'inflazione che raggiunse l'80% alla fine della guerra la vita al Nord non fu rose e fiori, le proteste non mancarono, compresi i pericoli politici che portavano inevitabilmente in dote: ma non era nulla se paragonato al disastro sociale ed economico che la guerra provocò al Sud e le privazioni terribili a cui fu costretta la sua popolazione.

Un successo della politica e dell'amministrazione Lincoln, al quale va ascritto il principale merito per la vittoria finale dell'Unione.