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IL SUO SIGNIFICATO E IL SUO RUOLO NEL PENSIERO STRATEGICO

L'idea di vittoria

Nicola Zotti

La vittoria incerta

L'idea di vittoria

Dinamiche di vittoria

La vittoria come "situazione"


Nike con una coppa e la lira in un vaso attico del V secolo

L’idea di vittoria

“Alla più bella” era scritto sulla mela d’oro che Eris gettò ai piedi delle vanità di Era, Atena ed Afrodite, e che il malcapitato Paride consegnò a quest’ultima, quella con gli argomenti più convincenti.
Eris, Discordia, alata come Nike.

L’idea di vittoria che ci è più familiare è uno di cinque momenti distinti di un processo conflittuale:

(1) i contendenti condividono un insieme di regole che condizionerà le loro azioni,
(2) si definiscono i concorrenti alla competizione,
(3) i concorrenti maturano crediti – i “punti” che vengono assegnati secondo le regole – durante un insieme finito e conosciuto di confronti,
(4) al cui termine si verifica il risultato richiesto dalle regole – la vittoria – che
(5) viene certificato pubblicamente con l’assegnazione di un premio.

La vittoria ci è nota come un chiaro momento di bilancio su un obiettivo precostituito che segna il passaggio tra il processo per l’ottenimento del premio e il premio stesso, un taglio che sancisce la fine della competizione e ne certifica l’esito inequivoco.
In guerra lo spazio nel quale astrattamente incastriamo la vittoria è suddivisibile in 5 analoghi momenti:

(1) la decisione di un conflitto e dei suoi obiettivi,
(2) l’allestimento dello strumento militare,
(3) le battaglie,
(4) la vittoria,
(5) il conseguimento degli scopi del conflitto.

In concreto, invece, ritroviamo tutte le perplessità di Guicciardini, perché non riusciamo a tracciare linee di demarcazione così precise tra ciascuno di questi passaggi, né a stabilire tra loro nessi deterministici di causalità o precise scalettature e concatenazioni, e neppure a individuare sulla vittoria quella radice di consenso semantico tra i contendenti alla base degli avvenimenti agonistici.

Oltretutto si tratta di un processo doppio perché specularmente percorso dall’avversario secondo le proprie logiche e soggetto agli effetti delle reciproche influenze, e quindi da interpretare lungo tutta la sua gamma di espressioni.
Come osservato in precedenza, le riflessioni, nella migliore delle ipotesi, si concentrano sul “come” vincere: sullo strumento militare e sulle battaglie in cui deve essere ingaggiato. Ma questo non è sufficiente.

(1) Perché le parti entrino in conflitto non è necessario che si contendano la stessa unica “mela d’oro”;
(2) il possesso di uno strumento militare, di qualsiasi natura e dimensione, è ininfluente rispetto alla possibilità di essere coinvolti in un conflitto;
(3) il campo di battaglia non è chiuso e il numero e il tipo di battaglie non sono determinati;
(4) la vittoria solo eccezionalmente è un riconoscibile momento “puntiforme” di svolta definitiva nelle sorti di un conflitto;
(5) il conseguimento degli scopi del conflitto è spesso solo parziale, condizionato e foriero di nuove conflittualità.

La vittoria è il riconoscimento universale che una delle parti in conflitto ha sostanzialmente e irreversibilmente spostato l’equilibrio delle forze a proprio vantaggio, nella misura sufficiente a permettere ad essa il conseguimento incontestato e stabile nel tempo degli scopi politici del conflitto.

La vittoria dunque

(1) è un costrutto politico e culturale: definito dal vincitore, deve essere intelleggibile dal suo avversario al punto da entrare nei suoi processi politici e culturali come una sconfitta, per essere metabolizzata come tale;
(2) deve promuovere un disequilibrio strutturale a vantaggio del vincitore, perché questo è un elemento necessario della sua natura politica;
(3) deve essere individuata contestualmente agli scopi politici del conflitto e al progetto del loro conseguimento postbellico, in quanto è definita necessariamente dai primi e determina essenzialmente il secondo;
(4) questa individuazione deve concepire distintamente la realizzazione degli scopi politici come un progetto che si realizza durante tutto il processo conflittuale e che ha nel suo centro la pur sempre laboriosa e sofferta fabbrica del loro conseguimento.

Nella definizione della vittoria c’è una persistenza dominante della coscienza e dell’intelligenza politico-culturale di una comunità che insiste su tutto il processo conflittuale.

Un’invasione inevitabile che occupa saldamente tutto il “campo” militare ben più in profondità di quanto pensasse von Clausewitz, che pure si era spinto già drammaticamente oltre definendo la guerra come “continuazione [della politica] con altri mezzi”: la definizione della vittoria è il primo strumento da predisporre e il più importante per ottenerla.


Dinamiche di vittoria