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RICORDI DALLE COLONIE

L'Africa tra piazza dei Cinquecento e la Bocconi

nicola zotti

Quanto è lontana l'Africa da noi? Per me personalmente poco.

Sarà che a Roma abito in un quartiere che prende il nome di "africano" perché, costruito in epoca fascista, ha la toponomastica dedicata ai luoghi delle nostre colonie africane.

Sarà che il mio senso storico mi fa aggiungere un "solo" se scrivo di eventi storici di "solo" un secolo fa.

Eppure i legami tra il nostro paese e l'Africa esistono.

E sono presenti nella nostra vita di ogni giorno. Tutto sta a ricordare. Faccio un paio di esempi.

Il monumento ai caduti di Dogali a Roma in via delle Terme di Diocleziano


Migliaia di persone ogni giorno attraversano "Piazza dei Cinquecento", la piazza antistante la Stazione Termini a Roma e probabilmente non sanno né si chiedono chi fossero quei "Cinquecento".

Incidentalmente si tratta dei caduti della battaglia di Dogali del 26 gennaio 1887. Non furono in realtà 500 ma 430, dei quali la metà morirono per mancanza di soccorsi adeguati.

Un monumento con un antico obelisco egiziano (un'eredità romana) è a loro dedicato negli opachi giardinetti di via delle Terme di Diocleziano.

Il cavaliere Ferdinando Bocconi era il proprietario dei Magazzini Bocconi, a Milano.

Un'attività prospera che sarebbe stata destinata al figlio Luigi se questi non avesse avuto altro per la mente: il ragazzo aveva sete di avventura.

Il francobollo dedicato a Luigi Bocconi

Fece di tutto per partire per l'Africa dopo la sconfitta dell'Amba Alagi, scomodando persino Crispi

Riuscì a raggiungere il corpo di spedizione italiano giusto in tempo per la battaglia di Adua, accompagnato dal fotografo Pippo Ledru.

Il suo Winchester a ripetizione non lo salvò. Morì a Mariam Sciauitù, seguendo il fato della colonna Dabormida.

Il padre volle dedicargli un'iniziativa benefica, un'università, addirittura, appunto la Bocconi. Non credo siano tanti gli studenti di quell'università a sapere che il loro prestigioso titolo di studio è dovuto alla battaglia di Adua.

Se noi abbiamo la memoria corta non altrettanto vale per gli africani.

Primi gli etiopici, per i quali la data della battaglia (23 Yekatit secondo il complicato calendario copto) è festa nazionale.

Halle Gerima è un regista etiopico che nel 1999 ha dedicato un documentario di 90' alla battaglia di Adua, intervistando anziani che avevano avuto contatti con i partecipanti alla battaglia.

Su IMDB la plotline è descritta così: In 1896, an African nation, largely armed with spears and knives, defeats a well-equipped and organized Italian military bent on colonization. Un film finanziato anche con soldi italiani, poteva fornire una ricostruzione più oggettiva, ma va bene lo stesso.

Trafficanti da tutto il mondo (tra i quali anche Arthur Rimbaud, mercante di schiavi e incidentalmente poeta) facevano la fila per vendere armi a Menelik.


Oltre a 46 cannoni a tiro rapido Hotchkiss -- che per inesperienza non usarono granché bene -- e alle mitragliere Maxim, gli abissini utilizzarono ad Adua non meno di 120 mila fucili, per la maggior parte Remington e Gras, ma anche Mauser, Berdan, Vetterli-Vitali (gli stessi in dotazione alle nostre truppe e che avevamo fornito noi agli abissini), Winchester, Peabody, Martini-Henry, Chassepot, Kropatschek.

Il legittimo orgoglio per la vittoria abissina è anche rinverdito dalla rivista manifesto del movimento Reggae "Armageddon Times", che dedica due numeri (il 24 e il 25) alla rievocazione della battaglia.

Se per caso qualcuno è in possesso delle riviste mi faccia sapere.

Come mi faccia sapere qualcosa del disco "The Battle of Adwa" del gruppo Hip Hop svedese Addis Black Widow, magari spiegandomi anche che gliene frega agli svedesi della battaglia di Adua...


Altri artisti hanno tratto ispirazione dalla battaglia. Questa bella tela del pittore etiopico Makonnen Tessema, ad esempio, mostra sulla sinistra la regina Taitù Zeetiopia Berean , moglie di Menelik, con il fucile in mano che guida le sue truppe. Vero: Taitù era una fervente nazionalista, aveva truppe personali e partecipò attivamente alla battaglia.

Makonnen Tessema, La battaglia di Adua, 1962, olio su tela (195x140)

A parte la bandiera italiana sbagliata (e il vento che va dove vuole l'artista), sembra che i nostri siano in difesa di una fortificazione, cosa che non accadde, almeno non ad Adua.

Comunque gli abissini sono tutti armati di fucile.

Sempre meglio, quindi, di Roberto Vecchioni che, descrivendo la battaglia di Adua nella sua canzone "Pani e pesci", indulge in un eccesso di licenza poetica:

Ad Adua si era in mille, contro duecento negri,
però la storia dice che ci siamo ben difesi;

In effetti, come professore di latino e greco non è tenuto da programma ministeriale alla conoscenza della storia patria e provateci voi a fare un verso con "dicassettemilacinquecento" e "centoventimila".