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BATTAGLIE MACEDONI

Cheronea 338 a. C.

nicola zotti



La battaglia di Cheronea combattuta dall'esercito macedone contro un esercito di alleati greci è la prima nella quale vediamo in azione la tattica macedone.

Reperti archeologici rinvenuti sul luogo della battaglia permettono di ipotizzare che sia stata anche la prima in cui la falange macedone adottò le sarisse.

Per contrastare l'invasione di Filippo, l'esercito alleato aveva condotto una campagna dilatoria, ma Filippo era alla fine riuscito a costringerli a battaglia sotto l'acropoli di Cheronea in Beozia.


Questo lo schieramento dei due eserciti: alcune ricostruzioni li danno paralleli (ad esempio Johannes Kromayer in "Schlachtfelder Atlas der antike Kriegsgeschichte"), ma il corso degli eventi successivi è giustificabile se i macedoni riescono a mantenere il proprio ordine rompendo quello del nemico ed è più probabile che lo schieramento macedone si presentasse obliquo rispetto a quello greco.

L'esercito alleato si era schierato in una forte posizione, con entrambi i fianchi protetti: quello sinistro poggiava sulle pendici dell'acropoli, mentre quello destro era protetto da una palude.

In questo modo gli alleati ritenevano di potersi difendere dalla propria inferiorità in cavalleria.

Le forze degli alleati, infatti, assommavano a circa 35.000 uomini, in larga parte opliti assistiti da poche fanterie leggere, mentre i macedoni avevano sul terreno una forza lievemente minore: forse 30.000 fanti e 2.000 cavalieri.

Gli opliti alleati appartenevano a diverse polis: il contingente più numeroso doveva comunque essere quello tebano -- 12.000 uomini che tenevano l'ala destra --, nel quale era compresa la Banda Sacra, seguito da quello ateniese -- 9.000 uomini schierati all'ala sinistra --, per finire con quello delle polis minori, tra le quali Ebea, Corinto, Megara, Leuca, Corcira, che con altri 9.000 uomini circa occupavano il centro.

Le ali erano protette da due contingenti di fanteria leggera mercenaria, 2.500 per ciascuna ala.

Il racconto della battaglia che ci fa Diodoro Siculo, l'unico dispinibile, anche se supportato con le scarse altre fonti disponibili, non ci aiuta molto a capire la dinamica della battaglia. Polieno, ad esempio, riporta due versioni non perfettamente concordanti di uno stesso episodio fondamentale per comprenderla.

(IV.ii.2) Affrontando gli ateniesi a Cheronea, Filippo simulò una ritirata. Quando Stratocle, il comandante ateniese, ordinò ai suoi uomini di spingersi avanti, gridando "li inseguiremo fin nel cuore della Macedonia", Filippo osservò tranquillamente "gli ateniesi non sanno vincere" e ordinò alla sua falange di rimanere serrata e solida e di ritirarsi lentamente, riparandosi con gli scudi dagli attacchi del nemico. Quando egli con questa manovra ebbe attirato i nemici fuori dal loro terreno vantaggioso, e guadagnata una superiorità, egli si fermò e, incoraggiando le sue truppe ad un attacco vigoroso, fece così impressione al nemico da determinare una brillante vittoria in suo favore.

(IV.ii.7) A Cheronea Filippo, sapendo che gli ateniesi erano animosi ed inesperti e i macedoni adusi alle fatiche e agli esercizi, si adoperò per prolungare l'azione, riservando il proprio attacco principale alla conclusione del combattimento, a nemico debole ed esausto e incapace di sostenera la carica.

All'inizio della battaglia, dunque, gli ateniesi forse furono attirati da una "falsa ritirata" che li indusse ad abbandonare la posizione, o, più probabilmente, effettuarono una carica in discesa per sfruttare l'impeto, e furono d'apprima contenuti e quindi respinti.

Gli Ipaspisti, che tenevano la destra macedone, da quanto possiamo leggere non tennero a bada gli ateniesi con le picche di circa m 4,5 di cui dovevano essere armati, ma con gli scudi. Gli ateniesi, infatti, erano forse equipaggiati come opliti ificratei, ovvero con lance più lunghe di quella oplitica -- oltre m. 3,5 -- e con una corazza più leggera.

Per utilizzare propriamente lo scudo, però, è improbabile che gli ipaspisti avessero le picche, che devono essere utilizzate a due mani e quindi impediscono l'uso dello scudo, o, se le avevano, si limitarono ad impugnarle con una mano sola, senza imprimere ad esse la forza necessaria ad offendere.



Anche Diodoro (16.86.2) ci presenta una situazione di stallo iniziale, ma non racconta di espedienti da parte di Filippo: "una volta iniziata la battaglia fu aspramente combattuta per lungo tempo con molti caduti per ciascuna delle parti, sì che la lotta dava speranza di vittoria ad entrambi".


Continua Diodoro: "Allora Alessandro, in cuore deciso a mostrare al padre il proprio valore e secondo a nessuno in volontà di vittoria, abilmente secondato dai suoi compagni [gli hetairoi], per primo riuscì a rompere la solida fronte della linea nemica e, abbattendo molti, penetrò profondamente nelle truppe di fronte a lui. Lo stesso successo arrise ai suoi compagni e si aprivano varchi nella fronte nemica".

Alessandro, quindi, dalla posizione occupata all'ala sinistra, muove impetuosamente all'attacco: difficile ipotizzare che si tratti di una azione concordata con il padre, né che si getti a capofitto frontalmente su una falange oplitica ordinata.

Possibile, invece, che la decisa avanzata ateniese abbia in qualche modo scompaginato la compattezza della falange alleata: gli ateniesi cominciarono la lotta, raggiunti probabilmente in modo più titubante dal contingente delle polis e guardati a distanza dai tebani che, se si muovessero nella stessa direzione, si troverebbero con il fianco destro scoperto e, quindi, rimangono fermi o, al massimo, possono cercare di mantenere la coesione con il centro mediante una rotazione verso sinistra.

La crisi dello schieramento oplita si generò quindi centralmente: ed è probabilmente qui che Alessandro indirizzò il suo attacco con la propria cavalleria.

La battaglia iniziata ha visto finora solo uno scontro su un'ala, ma la mobilità della cavalleria macedone permise ad Alessandro di approfittare dell'occasione.


Prosegue Diodoro: "I cadaveri si accumulavano, finché Alessandro si aprì una via attraverso la linea e mise i suoi avversari in fuga. Allora anche il re in persona avanzò, ben in prima linea, e non concesse il merito della vittoria neppure ad Alessandro. Prima fece indietreggiare le truppe davanti a lui e quindi, costringendole alla fuga, divenne l'uomo responsabile della vittoria".

Il racconto di Diodoro, quindi, viene a coincidere con quello di Polieno: l'azione dei macedoni fu graduale (anche per un probabile schieramento scaglionato) ma inesorabile e dopo una fase di stallo iniziale -- voluta o non -- rovesciarono gli ateniesi.

Secondo Plutarco, poi, Alessandro "fu il primo a gettarsi contro la Banda Sacra tebana" (vita di Alessandro), i membri della quale, sempre secondo Plutarco, dopo la battaglia giacevano morti "tutti colpiti dalle picche dei macedoni sul petto" (vita di Pelopida): sembra da escludere, quindi, che il primo attacco di Alessandro fosse diretto contro la Banda Sacra: questa deve essere stata accerchiata, presa tra un attacco frontale di picchieri macedoni e uno alle spalle degli hetairoi.

Cheronea contiene in sé gli elementi che saranno tipici della tattica macedone alla base delle vittorie di Alessandro Magno. ovvero la collaborazione tra fanterie e cavalleria come armi combinate: la falange di picchieri utilizzata come elemento di arresto del nemico e la cavalleria come forza decisiva dello scontro: incudine e martello.

Con l'andare del tempo entrerà nel meccanismo con un ruolo più attivo anche la fanteria leggera, che a Cheronea non sembra aver avuto un ruolo particolarmente significativo.

Ma lo strumento militare macedone è già pronto a conquistare il mondo.


Nota: Ho voluto rappresentare sulla mappa il luogo del monumento rappresentante il Leone di Cheronea e il tumulo nel quale furono seppelliti i caduti della battaglia.