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L'INVENZIONE DELLE ARMI COMBINATE

La tattica macedone

nicola zotti



Filippo II è ricordato come un generale di successo, ma i resoconti delle sue battaglie sono scarsi.

La sua battaglia più nota è quella di Cheronea, ma delle altre non è rimasta una memoria storica sufficiente per poterle descrivere.

In realtà, quello che conosciamo della tattica macedone discende di più dalle vittorie di Alessandro che non del padre, per quanto lo strumento militare all'origine di quei successi sia tutto merito della capacità organizzativa di quest'ultimo.

Già parlando della tattica annibalica ho illustrato gli elementi fondamentali della tattica macedone e della battaglia ellenistica, spiegando il concetto di armi combinate: il concorso consapevole e preordinato delle armi in cui è suddiviso l'esercito al consegumento della vittoria in un mutuo processo di sostegno e di valorizzazione dei rispettivi pregi e di minimizzazione o annullamento delle debolezze.

Questa consapevolezza non nasce con Filippo il Macedone: gli assiri già sembra che fossero ben consci della forza delle armi combinate. Gli stessi persiani praticavano la combinazione di specialità sul campo di battaglia, ma non con particolare fortuna contro i greci.

Questi ultimi riscoprirono proprio tra V e IV secolo avanti Cristo le armi combinate e con i tebani prima e soprattutto con Filippo ed Alessandro poi, ne fecero una ineliminabile costante dell'arte militare per i secoli a venire.

Cercherò di approfondire il concetto, isolando artificialmente il combattimento da qualsiasi considerazione strategica e riducendo il concetto di massa -- un vero vaso di Pandora -- al solo fattore della tipologia delle armi.

Schematicamente possiamo considerare quattro tipi di truppe associandole alle rispettive caratteristiche tattiche, pregi e difetti sul campo di battaglia.

specialità
forza
debolezza
Fanteria pesante alto urto, può conquistare il terreno non è mobile
Fanteria leggera alto tiro, è mobile non resiste all'urto, non ha urto, non tiene il terreno,
Cavalleria pesante alto urto, è mobile non tiene il terreno
Cavalleria leggera alto tiro, è molto mobile non resiste all'urto, non tiene il terreno, scarso urto

La fanteria pesante è l'unica arma che possa assolvere alla missione tattica di conquistare il terreno contro tutte le altre specialità ed è quindi necessaria sul campo di battaglia. Le altre specialità non possono resistere al tentativo, in condizioni di parità, della fanteria pesante di occupare un obiettivo ma, in virtù delle proprie qualità di urto, possono eventualmente conquistare il terreno contro le altre.

specialità
missione tattica:
conquistare il terreno
avversario

si

si

 

si

   

In teoria -- perché in questo come nei successivi esempi non mancano eccezioni storiche -- la fanteria pesante che ha l'iniziativa "sloggia" dal terreno qualsiasi avversario, la cavalleria pesante solo le truppe leggere, e la cavalleria leggera esclusivamente la fanteria leggera. In assenza della cavalleria, ad esempio, gli opliti a Maratona protetti dagli oplon e dalle thorax e avvicinandosi rapidamente ai persiani, possono ridurre le perdite e travolgere gli avversari con la propria forza d'urto.

La situazione, però, cambia radicalmente se si considerano altre missioni tattiche: ad esempio tenere il terreno, anziché conquistarlo.

specialità
missione tattica:
tenere il terreno
avversario

si

no

si

 

no

si

 

Come gli opliti spartani sperimentarono a Sphacteria, la fanteria leggera poteva costringerli in un tempo ragionevole ad abbandonare una posizione in virtù della mobilità e del tiro. L'armatura poteva ridurre le perdite da parte della fanteria pesante, ma la frustrante impossibilità di venire alle mani con un nemico più mobile ne fa una vittima predestinata.

Invece, le cavallerie pesanti e leggere, più mobili della fanteria leggera, possono sopraffarla con contrattacchi e quindi difendere le proprie posizioni.

Per sopperire alle debolezze della singole armi la prima misura adottata è la cooperazione: un passo necessario verso l'obiettivo tatticamente più complesso e significativo della combinazione.

La cooperazione sopperisce alle manchevolezze delle singole armi, agevolandole nell'assolvimento delle missioni tattiche: se gli opliti spartani a Sphacteria avessero goduto di uno schermo di fanteria leggera, la loro posizione sarebbe stata, ad esempio, più facilmente sostenibile.

La cooperazione però lega tra loro le armi in modo statico e passivo e produce risultati di scopo limitato, per quanto importanti nell'insieme di una battaglia.

La combinazione, invece, è attiva e dinamica: si realizza quando, come a Cheronea, l'impiego di un'arma è funzionale a quello dell'altra, in un unico processo coordinato dal quale deriva l'esito della battaglia.

Se nella cooperazione si può distinguere tra armi con un ruolo primario e uno ancillare, nella combinazione i ruoli tra le armi sono funzionali al risultato e devono quindi essere concepiti strumentalmente e non gerarchicamente: ad esempio a Cheronea la falange macedone operò come elemento di contenimento e la cavalleria pesante di Alessandro come elemento decisivo: una incudine ed un martello ugualmente importanti e necessari al raggiungimento del risultato.

Filippo II costruì il suo esercito proprio ai fini della combinazione di forze e non solo della cooperazione: un progetto che perseguì e portò a compimento con grande intelligenza e coerenza, e che gli va ascritto completamente.