La dottrina militare dei mongoli -- come potete leggere ancora più avanti -- rispettava ciascuno di questi principi, in particolare armonia con la gestione della logistica, alla quale essi dedicavono speciale attenzione.
La soluzione dei problemi logistici era infatti la priorità di un'armata di cavalleria, capace di ammassare centinaia di migliaia di animali, tra i quali il principale era il solido cavallo mongolo, di nutrirli e contemporaneamente di impiegarli con estremo successo in operazioni militari.
Un'armata mongola era un complesso sistema finalizzato alla guerra. Tutta la realtà tribale era orientata all'unisono a questo scopo, sfruttando appieno in campo militare le virtù del sistema economico-sociale autosufficiente tipico di tutte le società nomadi.
Un tumen di 10.000 guerrieri poteva avere al seguito forse altre 40.000 persone e almeno 100.000 animali (secondo alcuni 600.000), costringendo l'armata a muovere molto lentamente, per la necessità di lasciar pascolare gli animali, ma questo era in pratica irrilevante: nessun nemico poteva sfruttare questa lentezza vuoi per la precisione e il cordinamento complessivo delle operazioni militari dei mongoli e per l'impenetrabile schermo costituito attorno alle armate dagli esploratori, vuoi per la capacità dei guerrieri mongoli di improvvise accelerazioni che bruciavano i tempi e annullavano gli spazi.
Ecco come la dottrina militare dei mongoli faceva propri i principi dell'arte della guerra.
Massa
I mongoli comprendevano l'importanza di concentrare il proprio potere offensivo nel tempo e nello spazio. Dimostravano grande abilità, ad esempio, concentrando il tiro delle frecce contro un unico bersaglio da più lati e individuando l'avversario contro il quale fare massa. E' soprattutto al di fuori del campo di battaglia che però i mongoli comprendevano l'importanza di concentrare le masse in modo coordinato: sistematicamente marciavano separati per combattere uniti, secoli prima di Napoleone. Alla battaglia di Wadi al-Khazandar nel 1299 Mahmud Ghazan resistette un giorno intero contro i mamelucchi dando tempo alla sua armata dispersa per il foraggiamento di tornare in tempo per vincere il secondo giorno della battaglia.
Obiettivo
Analogamente, le armate mongole anticiparono di sei secoli la dottrina operativa. Le loro armate, infatti, seguivano un preciso piano delle operazioni sincronizzando le azioni dei vari scaglioni in modo cronometrico, nonostante fossero lontani anche centinaia di chilometri. In questo complesso processo non perdevano mai di vista l'obiettivo delle operazioni, sempre costituito dalla parte principale dell'esercito nemico, contro la quale, poi, concentravano fulmineamente e imprevedibilmente le forze.
Offensiva
Le armate mongole perseguivano sempre con decisione l'obiettivo di acquisire l'iniziativa tattica e strategica, che raramente concedevano all'avversario. Questi era dunque inevitabilmente costretto a reagire all'iniziativa dei mongoli, e altrettanto inevitabilmente era obbligato a farlo in condizioni di estremo svantaggio.
Sorpresa
I mongoli fondavano sull'effetto sorpresa tutti i loro piani militari. Come sottolinea Giovanni da Pian del Carpine nel suo resoconto "i mongoli combattono più con la frode che con la forza", utilizzando tecniche di attacco quali l'imboscata e la falsa rotta per sorprendere il nemico (come fecero alla battaglia di Liegnitz). Ma l'effetto sorpresa più rilevante era quello strategico-operazionale legato alla rapidità con la quale le armate mongole comparivano e scomparivano.
Economia di forze
I mongoli non concepivano la guerra se non allo scopo della vittoria e non sprecavano forze in operazioni inutili e dispendiose. L'organizzazione militare costruita da Genghis Khan era interamente orientata alla elasticità dell'impiego delle forze, con significativi vantaggi anche nell'unità di comando e in un'efficiente gestione delle comunicazioni. L'ordinamento era decimale, almeno virtualmente: 10 uomini costituivano un arban, 100 un jaghun, 1.000 un mingghan, 10.000 un tumen, Più tumen costituivano una ordu, ovvero un'armata.
Movimento
Nessuna popolazione interiorizzò in modo altrettanto completo e perfetto l'importanza del movimento in guerra, almeno fino alla seconda guerra mondiale e alle Blitzkrieg delle armate corazzate tedesche. Ricognizione, spionaggio, azione diplomatica: ogni mezzo veniva utilizzato per consentire una gestione dinamica delle operazioni militari, che in questo modo risultavano implacabilmente letali per gli avversari.
Unità di comando
Il sistema militare mongolo era meritocratico. Nell'invasione dell'Europa, ad esempio, sebbene i discendenti diretti di Genghis Khan fossero nominalmente in comando delle tre armate in cui erano articolate le operazioni, la direzione effettiva delle operazioni era nelle esperte mani di Subotai, che non aveva natali nobili, ma aveva dimostrato le sue capacità da quando, diciassettenne, aveva iniziato ad accompagnare Genghis Khan: il primo dei quattro "Cani da guerra" del capo mongolo (Jebe, Qubilai e Jelme gli altri tre), feroce e fedele come un mastino mongolo e fiero di esserlo. Questa autorevolezza e il rispetto che i mongoli nutrivano per la sua intelligenza e abilità nel comando erano incomprensibili agli europei, affascinati da altri talenti: la forza fisica, il coraggio, il senso dell'onore, la bellezza. Subotai non avrebbe avuto alcuna "virtù eroica" agli occhi di un cavaliere occidentale: era infatti un vecchio obeso, che doveva spostarsi su un carro ed essere accudito come un infermo, e difficilmente si sarebbe guadagnato il rispetto dei cavalieri europei.
Sicurezza
Praticamente impossibile sorprendere un'armata mongola. I comandanti mongoli ponevano infatti una grande cura nella raccolta di informazioni sul nemico con il ricorso massiccio e sistematico ad esploratori e a spie su tutto l'arco delle direttrici di movimento, impedendo contemporaneamente all'avversario di assumere informazioni sulle proprie intenzioni e sulle proprie forze.
Semplicità
L'addestramento per grandi unità delle armate mongole favoriva l'applicazione di schemi tattici ripetitivi e adattabili ad ogni situazione. Un sistema di comando e di comunicazione degli ordini sul campo di battaglia realizzato con speciali bandiere permetteva poi che questi ordini venissero immediatamente eseguiti ad un cenno del comandante che guidava la battaglia da una posizione elevata. Il professionalismo militare del cavaliere europeo era superiore a quello del cavaliere mongolo medio (che poteva avere dai 15 ai 60 anni), ma un'armata mongola era un insieme tatticamente perfetto.
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