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UN LUNGO PROCESSO EVOLUTIVO

La genesi della tattica manipolare

nicola zotti





Non mi prende mai la "crisi da foglio bianco" quando scrivo di storia militare romana. Semmai, al contrario, viene l'ansia di dove iniziare.

È questo il caso ora, momento in cui mi accingo a parlare della genesi della tattica manipolare, tattica sulla quale per secoli Roma ha costruito i propri successi: in particolare i primi, quelli più critici per il suo dominio delle popolazioni italiche e del bacino del Mediterraneo.

Iniziare del principio, che è sempre la cosa migliore - oltre che la più naturale - significa ricordare che Roma è stato un piccolo villaggio, nato dalla fusione di due insediamenti latini indipendenti sui colli Capitolino e Palatino.

Roma nacque dunque fin dai primordi come comunità inclusiva e aperta, capace di aggregare con naturalezza elite provenienti dai territori circostanti: innanzitutto l'Etruria e la Sabina, oltre che ovviamente le altre tribù Latine.

Nei suoi primi due secoli e mezzo di vita il sistema militare romano si evolve da quello eroico a quello oplitico che gli Etruschi per primi avevano assimilato probabilmente nel 600 a. C. dai Greci dell'Italia meridionale, che lo avevano introdotto da pochi decenni nei loro usi militari.

Possiamo immaginare una iniziale acquisizione delle nuove armi, in particolare lo scudo oplitico, da parte degli elementi più facoltosi della società, seguita da un'altrettanto lenta e problematica introduzione delle tattiche greche vere e proprie.

Si passa dunque da una forza armata nella quale un capo tribù guida in guerra i propri familiari e clienti, espressione di una società dove si possono distinguere stratificazioni, ad un modello tipico di una società al contrario molto più omogenea, se non paritaria, come era quella"democratica" greca.

È una transizione in qualche modo innaturale, perché la struttura sociale etrusca era fortemente stratificata, così come lo era anche quella romana.

Livio ci descrive questo passaggio verso il combattimento falangitico come un'iniziativa introdotta da una complessa riforma ideata dal re Servio Tullio (578-534), anche se è probabilmente precedente.

Servio Tullio per prima cosa censì i redditi dei propri sudditi e quindi basò su questo tanto l'organizzazione della propria forza militare, quanto le struttura istituzionale del regno.

A lui dobbiamo quindi una radicale rivoluzione della concezione di cittadinanza, in base alla quale a maggiori diritti corrispondevano maggiori responsabilità, che diventerà patrimonio della Roma repubblicana con l'equiparazione di tutti i cittadini, indipendentemente dal censo, di frronte alla leggi della Repubblica.

La legione romana scende in campo in tre formazioni tribali comandate da un tribuno, ciascuna di 1.000 uomini presi dalle tre tribù: Tities, Ramnes, Luceres. Ogni tribù fornisce 10 curie di fanteria e 1 di cavalleria, i cui uomini sono selezionati in base al censo e assegnati alla Cavalleria e a 5 principali classi destinate alla falange (con ruoli e armamenti di spesa decrescenti a seconda del reddito), e ad alcune altre minori riservate ad attività di supporto o esentate dal servizio perché nullatenenti.

A questo punto la legione "falangitica" romana formata da linee successive di uomini di censo diverso è già strutturalmente pronta a trasformarsi in legione "manipolare": come, perché e quando questo sia avvenuto è fonte di congetture.

Vale la pena ripeterlo: sono sempre tutte congetture: quando leggete di disposizione tattiche romane, manipoli compresi, sappiate che si tratta di ipotesi, alcune maggiormente condivise dagli studiosi e più motivate, ma non per questo meno "ipotetiche" di altre che beneficiano di minori consensi o di motivazioni meno convincenti.

Una prima scrematura tra le ipotesi va fatta sottolineando che I ragionamenti causali sono ingannevoli: non esistono nella fattispecie legami causali necessari tra introduzione di scutum e pilum e tattica manipolare. Tante popolazioni avevano guerrieri armati di armi da lancio, anche giavellotti pesanti, e non combattevano in manipoli, ma in formazioni unitarie e persino falangitiche. A sua volta lo scutum appare diffuso in Italia anche durante il periodo "oplitico" e numerose testimonianze archeologiche attestano che vi era molta maggiore differenziazione di armi tra gli opliti italici che tra quelli Greci.

I ragionamenti "per analogia" sono altrettanto pericolosi di quelli "causali": le analogie per il pericolo dell'anacronismo, quelli di causa/effetto perché le stesse cause spesso e volentieri provocano effetti diversi.

Questo premesso che cosa "sappiamo"?

a) I manipoli sono stati introdotti nell'esercito romano tra il IV e il III secolo: stringendo di poco questo limite temporale stiamo parlando di un lasso di tempo che va dal periodo successivo alla sconfitta sull'Allia (390 o 388) a quello successivo le Forche Caudine (321). Possiamo essere ragionevolmente certi che quando sentiamo dire da Livio che nel 311 i romani potevano mettere in campo due armate consolari di 4 legioni (2 romane + 2 latine), esse erano un'invenzione abbastanza recente ed erano molto probabilmente già incentrate sui manipoli.

b) Nello stesso periodo l'Esercito romano passa da essere costituito da una legione di 6.000 uomini, a (forse) 2 da 3.000 nel 366, quando si ritorna al sistema dei 2 consoli, a, come anticipato sopra, 4 nel 311.

c) Nel 338, infatti, Roma, dopo aver sconfitto i Latini, li ha legati indissolubilmente a sè introducendo la cittadinanza senza sufffragio e raddoppiando da un giorno con l'altro la propria base di arruolamento.

d) Sempre in questo lungo e intenso periodo, i Romani adottano lo scutum e il pilum, in parziale sostituzione dell'hasta, ma non si sa in che modo questo sia avvenuto.

e) Il cambiamento maggiore nei metodi di combattimento dei Romani, non è l'adozione del pilum, ma semmai quella dello scutum perché con la sua mobilità (maggiore di quella dell'oplon) è da preferire per chi intende affidare le sorti di una battaglia al combattimento con le spade.

f) Ed è questo il fulcro finale di tutto il processo: i Romani decidono di adottare la tattica manipolare, perché la più adatta al combattimento ravvicinato con la spada, più cruento e, dunque, più decisivo, rispetto a quello con la lancia oplitica.

Quali sono i vantaggi della tattica manipolare? il primo e più significativo (e qui siamo tentati in un pericoloso ragionamento per analogia con i battaglioni rivoluzionari francesi) è che avanzare in piccole colonne distanziate tra loro consente di schierarsi con più velocità rispetto ad una falange.

I piccoli nuclei possono supportarsi vicendevolmente, possono spostarsi a destra e a sinistra per evitare ostacoli naturali, possono allargarsi e restringersi. La profondità dello schieramento consente di tenere un fronte più stretto e di dotarsi di riserve.

I concetti di "riserva" e di sforzo graduale correggono le altre debolezze della falange e possono essere concepiti dai Romani proprio per la loro segmentazione sociale (che col tempo diventa segmentazione generazionale) sostenuta dal principio della cittadinanza: i giovani Hastati (che dispongono tendenzialmente anche di un reddito minore) combattono prima dei Principes (più anziani) e dei Triari (ancora più anziani) perché questi hanno già combattuto in anni precedenti.

Negli anni della Repubblica, l'introduzione del salario per i milites e del "cavallo pubblico", per i cavalieri, istituzionalizza la responsabilità collettiva nella difesa dello stato.

Dal punto di vista militare, l'equilibrio tra le linee è garantito dalla compensazione tra vigore giovanile ed esperienza, laddove a minore esperienza corrisponde maggiore vigore.

In merito alla larghezza del fronte, va osservato che gli eserciti in questa epoca, e generalmente nella guerra antica, tendevano a schierarsi non solo parallelamente, ma anche sulla stessa estensione: gli attacchi sui fianchi erano difficili da realizzare (intenzionalmente) per le oggettive difficoltà nel manovrare le truppe.

Più importante è concepire programmaticamente l'uso delle riserve e la graduazione dello sforzo su più linee, che, come abbiamo visto, i Romani già potevano concepire e considerare naturale fin dalla riforma serviana.

Le lance oplitiche si spezzano contro il robusto scutum, lasciando l'oplita in grave difficoltà: il suo avversario non solo ha uno scudo più mobile del suo, ma è addestrato ad usarlo in efficace combinazione con la spada.

Occorre a questo punto sgombrare il campo dalla supposizione di causa/effetto fatta da alcuni in base alla quale i Romani abbiano mutuato scutum, pilum e tattica manipolare dai Sanniti.

Questa ipotesi è suffragata dall'"Ineditum Vaticanum" un testo greco del IV secolo nel quale si afferma esplicitamente che i Romani avessero appreso l'uso dello scutum rettangolare e del pilum dai Sanniti.

In realtà il testo non è affidabile:i Sanniti usavano lo scutum ma anche scudi tondi indifferentemente, e non sembra che usassero il pilum, né che adottassero tattiche manipolari, tanto più che le battaglie da loro combattute contro i Romani avvennero tutte in località pianeggianti, perfette per i combattimenti oplitici.

Più probabile l'origine etrusca del pilum. Alcune testimonianze archeologiche di pila etruschi, ad esempio, o i famosi affreschi della "Tomba Giglioli" di Tarquinia, lasciano intendere che questo popolo conoscesse l'uso di un'arma da tiro pesante e, a meno di considerarli gli inventori dei manipoli, possiamo supporre usassero queste armi in una formazione sostanzialmente falangitica.

Il primo riferimento a un pilum romano risale al 295, durante la Terza guerra sannitica, quando Livio (X,39,12) riporta le parole del console Lucio Papirio che ricorda come "per picta atque aurata scuta transire Romanum pilum", ovvero che il pilum dei Romani trapassa gli scudi colorati e dorati. Nel 279, durante la battaglia di Ascoli, Plutarco ci racconta che Pirro fu ferito da un pilum: e se una rondine non fa primavera, due forse sì.

Ma ancora prima di queste date sappiamo che Camillo, dittatore nel 367, ordinò ai suoi uomini di usare i propri "giavellotti pesanti" come lance da impatto per contrastare gli attacchi dei Galli (Plutarco. Cam. 40.4). Un'affermazione che, a parte l'affidabilità, è enigmatica, perché usare il pilum come se fosse una lancia da oplita sembra un regresso a tattiche che avrebbero dovuto esserestate abbandonate. A meno che non si tratti di una concessione nei confronti di truppe poco aduse a tattiche nuove.

L'introduzione di nuove tattiche di combattimento, prima che di tattiche di battaglia, comporterebbe, almeno teoricamente, un adeguamento dei materiali. Alcuni sono ovvi, altri meno: se si introduce nel combattimento una maggiore enfasi nell'uso della spada, è ovvio che verranno trovati utili nuovi tipi di spada. Ma gli "spadaccini" hanno bisogno anche di altri tipi di scudi, altri tipi di corazze, altri tipi di elmi.

In pratica, però, questo è vero solo parzialmente, perché gli adattamenti delle tattiche non possono essere sempre seguiti da adeguamenti dei materiali: per conservatorismo, per intuibili questioni economiche e produttive, per le preferenze personali.

Un'altra questione è quella che potremmo chiamare il "sufficientemente buono": se diciamo che uno spadaccino trae vantaggio da una maggire visibilità rispetto ad un oplita, e quindi un elmo aperto, diciamo una cosa che ci appare logica. Eppure ci sono opliti con elmi aperti e spadaccini con elmi sostanzialmente chiusi.

A che conclusioni possiamo arrivare?

Possiamo concludere che non esiste un collegamento necessario tra l'adozione dello scutum e del pilum e il passaggio alla tattica manipolare da parte dei Romani. E possiamo aggiungere che fu una loro peculiare invenzione.

Molto probabilmente si trattò di due transizioni contemporanee che si svolsero in un arco di decenni e forse di oltre un secolo, tra tentativi, errori, ripensamenti, di cui possiamo leggere i segnali nelle contraddittorie denominazioni di Hastati e Principes, e nel permanere delle "Haste" nelle mani dei Triari.

L'aumento nelle dimensioni dell'esercito costituì un motivo di accelerazione di questo processo: dovendo addestrare un numero doppio di reclute praticamente da un anno con l'altro, fu probabilmente più facile insegnare loro a combattere con le spade in una formazione diversa da quella oplitica.