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IL SISTEMA TATTICO DI SCIPIONE

3) La battaglia dei Campi Magni

nicola zotti

I nemici in fuga

Asdrubale e Siface cercarono scampo per due vie diverse e divergenti: il primo riuscì a riparare a Cartagine, non senza difficoltà e vicissitudini, il secondo ritornò sui propri passi verso la vallata dei Campi Magni, deciso a cercare rifugio nel proprio regno. Non era stato sconfitto in una battaglia campale ma da un inganno teso da un uomo di cui un tempo era stato amico e di cui si fidava: per quanto il suo buon senso gli suggerisse prudenza, nel suo animo si agitavano propositi di vendetta.
Così non faticò a farsi convincere dalle preghiere della bella Sofonisba e dagli argomenti degli emissari di Cartagine a non abbandonare la lotta: i destini di Siface e di Cartagine erano uniti come quelli di Massinissa e di Scipione.

Ma a far pendere definitivamente la bilancia a favore di Cartagine fu l'improvviso arrivo di 4.000 guerrieri celtiberi: una banda di mercenari che era arrivata in Africa attirata dalla possibilità di un proficuo ingaggio.
Forse non doveva parlare in loro favore il fatto che avessero annunciato di essere in 10.000 anziché 4.000, ma il loro aspetto doveva essere veramente bellicoso, perché sia Siface che i cartaginesi trovarono in quell'aiuto insperato ragioni sufficienti per continuare a sperare.
Cartagine aveva accolto con sgomento la notizia della sconfitta. Meglio delle parole dovettero parlare i volti e le ferite dei pochi scampati alla strage. La rinnovata alleanza con Siface e l'arrivo dei mercenari celtiberi, alzarono un po' il morale dei cartaginesi, ma la situazione rimaneva grave.

La decisione maturò con fatica, perché le continue sconfitte avevano sconvolto profondamente il popolo cartaginese. Alla fine prevalse il partito di chi era favorevole a proseguire la lotta: una decisione da veri "romani".
In effetti, le speranze di risollevare le sorti di una guerra tanto sfortunata rimanevano solo fin tanto che permaneva anche la volontà di continuarla.
E questa volontà andava condivisa con l'unico alleato disponibile, Siface, cercando con lui di mettere assieme il nucleo di un esercito in grado di dare qualche preoccupazione ai romani.
Oltretutto un successo, anche limitato, sarebbe costato carissimo a Scipione, perché, ponendo fine alla sua galleria di vittorie lo avrebbe indotto a più miti consigli.
A Cartagine forse si iniziò ad invidiare quelle qualità di cui i romani disponevano in abbondanza e che li avevano salvati in circostanze altrettanto se non più gravi: la fedeltà e l'abnegazione verso la Repubblica. Ma a Cartagine presto si sarebbe imparato queste non sono doti che si improvvisano.
La vittoria romana era stata tanto netta e decisiva da rendere superfluo l'inseguimento. Scipione non vi si impegnò più di tanto e riprese quella che per lui doveva essere diventata una simpatica abitudine: l'assedio di Utica, che questa volta venne investita anche dal mare, ma sempre senza risultato.

Scipione trascorse circa un mese dopo la battaglia ad occuparsi di queste e di altre incombenze.
Spostò innanzitutto il campo nuovamente di fronte a Utica, per controllare meglio la città. Poi con grande sollecitudine distribuì le prede, facendo felici, più che i suoi uomini, lo stuolo di mercanti che da questi acquistavano la loro parte di bottino. Pare che gli affari fossero favoriti dall'ottimismo dei legionari, che si liberavano a prezzi stracciati del loro premio convinti che fossero prossimi guadagni ben maggiori. Indubbiamente il morale doveva essere alto.
Non valse ad abbassarlo, anzi sortì l'effetto contrario, la notizia che i nemici si stavano concentrando ancora una volta presso i Campi Magni, una zona circa 150 km. all'interno dove Scipione non si era mai spinto e che non conosceva.

Non era nota l'entità dell'armata al comando di Asdrubale e di Siface, né quanti fossero gli effettivi che Cartagine teneva ancora tra le proprie mura. Non potevano certamente essere molti, ma non era escluso – come in effetti era – che rinforzi di mercenari fossero giunti a rinvigorire le scarne difese cartaginesi. Scipione doveva ancora una volta prendere una decisione in base a pochissimi elementi di giudizio.

Scipione prende l’iniziativa

Ricevuta la notizia dell'avvenuta concentrazione nemica, Scipione non esitò un attimo. Diede istruzioni affinché venisse proseguito l'assedio e si facesse attenzione a proteggere la flotta. Quindi alla testa di una colonna composta da tutta la cavalleria e da parte della fanteria armata alla leggera mosse verso il nemico, lasciando al campo tra un terzo ed un quarto delle proprie forze di fanteria: aveva con sé come minimo gli effettivi di una Legione e una o due Ali di alleati: in tutto circa 15.000 uomini.

Con una mossa strategica simile ad un balzo, tipica dell'eccezionale talento strategico di Scipione, in appena 5 giorni, procedendo attraverso terre nelle quali non si era mai spinto prima, giunse in prossimità del nemico.
Asdrubale e suo genero avevano con sé qualcosa come 20-30.000 guerrieri: il nucleo principale della fanteria costituito dai celtiberi, mentre il contingente cartaginese doveva essere composto quasi esclusivamente da cavalleria, e i numidi da una forza mista di fanti e cavalieri: un esercito raccogliticcio e persino meno addestrato di quello che aveva comandato circa un mese prima, che però ora, almeno, non si sarebbe fatto sconfiggere senza colpo ferire.

E per di più questa volta poteva contare su un nucleo di bellicosi guerrieri celtiberi e su un paio di altri non trascurabili vantaggi: i romani erano armati alla leggera, e quindi non avevano con sé il bagaglio necessario ad intraprendere una lunga campagna e non conoscevano i luoghi: per cui se fossero stati sconfitti non avrebbero potuto in alcun modo salvarsi dalla distruzione completa. Scipione giunse fino a circa 6 chilometri dall'accampamento di Asdrubale e Siface, per studiare le mosse degli avversari, ai quali non era rimasto più molto tempo per prendere una decisione.

La battaglia dei Campi Magni

Il re numida – non lo sarebbe rimasto ancora per molto, ma quel titolo per il momento ancora gli spettava – e suo suocero Asdrubale cercarono di approfittare dei punti di debolezza insiti nella posizione dei romani e accettarono il rischio di dare battaglia. Tuttavia, benché quei punti deboli fossero reali, dovevano essere considerati alla luce della consumata abilità di Scipione: e nel confronto con uno splendore tanto vivido sarebbero brillati molto meno: in particolare il cartaginese, che era già stato sconfitto da Scipione con una manovra brillantissima alla battaglia di Ilipa.
In effetti, se i romani avevano imparato la lezione di Annibale, non altrettanto si poteva dire dei cartaginesi e dei loro alleati, che in questa occasione sarebbero dovuti andare a lezione dal "Temporeggiatore": Siface rimase immobile sulle sue posizioni mentre Scipione avanzava verso di lui, con balzi simili a quelli di un animale da preda, ponendo il campo sempre più vicino.
Dopo 4 giorni di scaramucce, finalmente le due armate uscirono dagli accampamenti per affrontarsi in battaglia. Siface coi numidi si schierò all'ala sinistra, Asdrubale coi cartaginesi, probabilmente in massima parte cavalleria, all'ala destra, mentre il centro fu sostenuto dai mercenari celtiberi.


Scipione fronteggiò questi ultimi con l'unica Legione romana che aveva al seguito, dividendo le unità di alleati a destra e a sinistra di questa, di modo che se la vedessero rispettivamente coi fanti cartaginesi e con quelli numidi, o, nell'ipotesi che avesse una sola Legione di alleati, solo di fronte ai numidi. Alle ali, Lelio e la cavalleria romana se la sarebbe vista contro quella numida, mentre Massinissa si schierò contro la cavalleria di Asdrubale.

Lo schieramento della cavalleria è un po' particolare. Infatti, la cavalleria romana e quella cartaginese sono di tipo "pesante", da impiegare in corpo a corpo, mentre la cavalleria numida è la tipica cavalleria leggera. Dovremmo dunque aspettarci che su entrambe le ali lo scontro tra le cavallerie si risolva in una serie di tentativi andati a vuoto da parte delle cavallerie pesanti di giungere a contatto con le cavallerie leggere.
In realtà il resoconto della battaglia è ben diverso. Perché, subito al primo assalto, i cavalieri numidi cedettero alla cavalleria di Lelio e i cartaginesi a quella di Massinissa. Forse non ci fu neppure un combattimento, ma i punico-numidi dovettero abbandonare la battaglia alla sola vista del nemico, provocando uno sbandamento – se non il collasso – tanto della fanteria numida, quanto, se c'era, della fanteria cartaginese. Per la cavalleria di Scipione, dunque, la battaglia si era trasformata in un inseguimento: un inseguimento che non doveva avere esito, perché tanto Siface che Asdrubale riuscirono a tornare senza danni alle proprie terre: uniti, oltre che da parentela, da scarsa brillantezza nei ragionamenti militari, i due si erano incontrati per l'ultima volta su quel terreno di sconfitta, e Asdrubale era destinato a non vedere più nemmeno la bella figlia.
A questo punto la linea di fanteria punico-numida è completamente scoperta sulle ali. Nella migliore delle ipotesi è composta dai celtiberi affiancati a sinistra dai numidi. La resistenza che questi ultimi dovettero opporre all'Ala di alleati dovette essere minima e anche in questo caso, in breve, il combattimento si trasformò in un inseguimento.

Rimanevano solo i celtiberi. Questi dovevano iniziare a maledire il giorno in cui avevano lasciato le loro case per occuparsi dei fatti altrui. Ora si trovavano in una terra sconosciuta, davanti ad un nemico che era intenzionato a mostrare tutto il proprio "disappunto" per la proditoria ingerenza di cui erano stati autori. Pietà non ne avrebbero certamente ottenuta, per cui non avevano altra scelta che resistere. E questo fecero. Rimasero caparbiamente a combattere sul posto, contendendo metro su metro ai legionari.

Scipione, però, non stette con le mani in mano ad aspettare che i suoi uomini di prima linea, gli hastati, si logorassero in una lotta tanto aspra. Per porre fine al combattimento era necessario che in tempi brevi un attacco sui fianchi e alle spalle rompesse la resistenza nemica. Però la cavalleria non ritornava dall'inseguimento, gli alleati neppure, per cui si doveva procedere in altro modo.

Scipione fece compiere alle sue truppe per la prima volta su un campo di battaglia un complesso movimento che doveva essere stato provato infinite volte nelle piazze d'armi in Sicilia o nella stessa Spagna.
Ai Campi Magni Scipione applica un'innovazione tattica che per la prima volta rende indipendenti tra loro le linee di una Legione.

La manovra cominciava affiancando le centurie di ciascun manipolo (I fase), in modo che chiudessero i varchi nella linea. Quindi veniva fatto effettuare un cambio di fronte di fianco per fila alle linee dei principes e dei triares (II fase), o forse una rotazione dei singoli manipoli, verso le due direzioni opposte. In questo modo, dietro la protezione della linea degli hastati che combattevano, le altre due linee formavano due lunghe colonne che guardavano una a destra e l'altra a sinistra.

Così, mentre la cavalleria si allontana sempre di più nel suo inseguimento, – la figura qui a fianco vi aiuterà a seguire la manovra – le due colonne venivano fatte scorrere sui fianchi (III fase), e con una rapida marcia si portavano dietro al nemico

A questo punto, un nuovo cambio di direzione riportava la fronte dei manipoli verso il nemico (IV fase), preludio della carica che lo avrebbe distrutto.

 

Questo avvenne ai Campi Magni, però la manovra poteva anche avvenire dividendo principes e triares in modo che muovessero metà verso destra e metà verso sinistra, cosicché i principes si schierassero a fianco degli hastati e i triares a fianco dei principes: questo nel caso in cui i triares non avessero la stessa consistenza delle altre linee e con il vantaggio che i principes, muovendo metà della distanza rispetto alla manovra precedente, si schierano in minor tempo.

I celtiberi furono i primi a sperimentare questa tattica e di loro nessuno poté tornare dai cartaginesi a raccontarla: forse anche per questo Scipione utilizzò la sua arma segreta: potrà usarla ancora sapendo di sbalordire nuovamente il nemico.

Non che Scipione fosse nuovo a manovre di questo genere, che tanto a Baecula quanto ad Ilipa aveva portato le Legioni sui fianchi del nemico, utilizzando, in modo che può essere solo definito geniale, il movimento che la Legione era solita impiegare per schierarsi sul campo.


Alla battaglia di Baecula, contro Asdrubale Barca, Scipione fece manovrare metà della sua fanteria pesante verso destra e metà verso sinistra, mentre il suo centro, composto esclusivamente da fanteria leggera, focalizzava l'attenzione del nemico e ne teneva per quanto possibile bloccato il centro. La manovra risultò un po' lenta ma efficace.


A Ilipa, contro Asdrubale di Giscone lo specchietto per le allodole furono gli alleati iberici su cui Scipione non faceva molto affidamento: e compì una complicatissima manovra, che portò la testa della colonna direttamente contro il fianco nemico, seguita subito dal resto della formazione che, ruotando, colpì la fronte.

Scipione ha compreso il senso profondo della battaglia annibalica e cerca di replicarla in modo innovativo e adattato alla Legione: nel caso di Baecula e Ilipa il centro viene "rifiutato", tenendolo arretrato o rendendolo evasivo, sfruttando la mobilità del manipolo per ripetere un avviluppamento simile a quello di Canne. Ma i tentativi per quanto a buon fine, non erano stati pienamente soddisfacenti: una parte troppo rilevante del centro nemico era riuscita a sottrarsi alla trappola. Inoltre, un centro debole era troppo esposto ad un veloce e deciso contrattacco, magari con cavalleria, per poter trasformare questa manovra in un sistema.

Una risposta poteva venire dall'impiego di più cavalleria e di qualità migliore: ma questa risposta era anch'essa parziale: nella battaglia annibalica la cavalleria è il "plotone di esecuzione", e non la "condanna a morte": questa era comminata dalla fanteria. Ciò che doveva essere perfezionato era la velocità del movimento di aggiramento della fanteria e il meccanismo che doveva occuparsi di bloccare il centro nemico: a Canne Annibale aveva vinto perché i romani attaccavano a testa bassa, completamente diversa era la situazione se il nemico non aveva alcuna intenzione di attaccare.

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