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NOSCE TE IPSUM

Una controrivoluzione militare per la Future Force

nicola zotti


Il lettore Renato Mazza, dopo le critiche che ho espresso su "Future Force" il mese scorso (ottobre 2007), mi invita a spiegare quale ritengo dovrebbero essere le linee guida di una riforma della US Army, nello stesso orizzonte strategico-temporale.

Naturalmente sono inadeguato al compito, ma ritengo comunque che la domanda sia ineludibile e quindi provo a rispondere, mantenendomi sugli aspetti di dottrina.

Riassumendo, la mia critica era rivolta al timore che la riforma di Future Force fosse trainata dell'innovazione tecnologica, un atteggiamento che ritengo sbagliato per almeno quattro motivi:

1) perché le FFAA vengono ad essere eterodirette dall'apparato scientifico-industriale, perdendo di vista le proprie esigenze operative reali;
2) perché si corre il rischio di non comprendere la portata tattico-operativa dell'innovazione tecnologica, come ad esempio avvenne nel caso della Mitrailleuse francese durante la guerra Franco-prussiana, quando un'arma innovativa giunse sul campo di battaglia senza un'adeguata dottrina di impiego;
3) perché temo la deresponsabilizzazione della politica e la sua tendenza a vedere nelle FFAA solo una pinza per togliere le castagne dal fuoco senza scottarsi, eventualità implicita nel riempire gli eserciti di gadget ipertecnologici come succedaneo alla chiarezza degli obiettivi politici: "non so dove voglio andare a parare ma ho riempito l'Esercito di tali e tante armi da potergli chiedere di risolvere qualsiasi guaio"; e infine

4) perché la tecnologia è anche una nuova vulnerabilità e un fattore di fragilità e su questo aspetto ogni eccesso di ottimismo rischia di provocare amari risvegli (come bene spiega Corrado Giustozzi nel suo libro "La sindorme di Fort Apache".

La mia analisi non parte da zero, perché qualche tempo fa pubblicai uno schema di nuovi principi della guerra, ai quali ritengo una forza armata moderna si dovrebbe attenere.

Quell'articolo è lungo, e se oggi dovessi sintetizzarlo in un'unica frase e in un unico principio questo sarebbe "nosce te ipsum".

L'antica epigrafe scolpita dai Sette saggi sul tempio di Delfi riassume una vera e propria controrivoluzione culturale nel pensiero militare contemporaneo.

Nell'analisi SWOT dobbiamo compiere due esami, uno interno ed uno esterno: nella nostra società attuale -- non solo in campo militare -- l'attenzione di gran lunga maggiore è posta al secondo.

La dottrina militare non sfugge a questa tendenza profonda nella cultura moderna che sposta sulla consocenza dell'avversario tutta l'enfasi di un conflitto: ogni attenzione e ogni risorsa è spesa per la lettura della mente dell'altro, per l'individazione dei suoi punti di forza e di debolezza, mentre con molta meno energia ci si impegna nella controversa e più dolorosa operazione di sezionare noi stessi, i nostri errori e le nostre debolezze, ma anche di misurare con obiettività la nostra forza, di educarla e di coltivarla.

La democrazia si fonda sul diritto di critica, ma è ipocrita non ricordare con quanta facilità si enfatizzino gli errori degli avversari politici, minimizzando, quando non nascondendo, i propri anche nelle analisi interne e riservate.

Questo atteggiamento in guerra è altrettanto frequente che nella vita civile, ma ha conseguenze che si pagano direttamente in vite umane: la sopravalutazione delle proprie potenzialità, l'eccesso di uso della forza, l'insufficiente definizione delle regole d'ingaggio, la scelta di comandanti non adatti ai ruoli, l'inadeguatezza dei mezzi in qualità e quantità o, a livello strategico l'individuazione di obiettivi inadeguati, tanto per fare qualche esempio, sono quel genere di errori che vengono compiuti proprio per mancanza di conoscenza di sé. Le stesse cognizioni che assumiamo sul nemico tramite l'intelligence hanno un senso proprio alla luce di quato sappiamo di noi stessi, perché conoscere la propria forza è il presupposto per usarla nel modo più opportuno.

Capacità autocritica e reattività risolutiva sono quindi a mio avviso le virtù primarie da sviluppare in un esercito moderno e nello stretto rapporto che si instaura tra strategia politica e strumento militare.

In questo contesto la "Future Force" non sarebbe più eterodiretta dall'innovazione tecnologica -- e dall'industria che la produce -- ma può guidarla verso le applicazioni più adatte al proprio bisogno o può comunque comprenderne appieno l'utilità plasmandovi la propria dottrina.

Vorrei fermarmi qui per il momento e non mettere altra carne al fuoco: il discorso potrà essere riaperto più in là.