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COME L'EUROPA MILITARE USCI' DALMEDIOEVO

Il Rinascimento militare


nicola zotti




Problema:

«Dati 1.600 picchieri, arrangiateli in una formazione il più possibile quadrata.

Svolgimento».

Il lettore vuole anticipare una risposta?

La soluzione esatta non ve la dò ora: tanto avrete anche capito che è una domanda a trabocchetto.

Il Quattrocento (come abbiamo visto) era stato il secolo svizzero. I successi militari delle armate cantonali ne avevano imposto all'Europa il modello, basato su solide formazioni di picchieri coadiuvate da contingenti di tiratori.

Il concomitante maturare ed affermarsi delle armi da fuoco completava lo scenario, rendendo evidente a chiunque quale fosse la futura evoluzione dell'arte della guerra: tutto stava ad arrivarci.

C'era infatti un problema (tra tanti altri) di non facile soluzione che si frapponeva tra passato e futuro e l'ho in parte anticipato iniziando questa breve disamina.

Come si faceva a creare una unità di picchieri? Da che parte si poteva o si doveva incominciare?

Si doveva imparare a schierare gli uomini in quelle enormi e ingombranti formazioni che ne garantivano la solidità, ma certo non ne facilitavano la gestione sui campi di battaglia.

Si doveva insegnare agli uomini a marciare in cadenza (gli Svizzeri a questo scopo avevano introdotto i tamburi) e non era certo sufficiente che ciascuno seguisse i movimenti dell'uomo di fronte: si doveva imparare ad eseguire lo stesso movimento simultaneamente, interpretando correttamente l'ordine ricevuto, o la formazione si sarebbe trasformata in una massa informe di uomini ed armi.

Si doveva altresì instillare agli uomini fiducia nei propri mezzi, affinché confidassero nella propria forza anche quando in mezzo a loro volavano spaccando i corpi proiettili di archibugio e palle di cannone, e un nemico avanzava minaccioso con le picche spianate.

Si doveva infine insegnare come usare la picca, arma in apparenza semplice, ma lunga e pesante e quindi difficile da manovrare: in mani meno che esperte, ad esempio, iniziava ad oscillare diventando incontrollabile e praticamente inutilizzabile: picche ondeggianti e che sbattevano l'una contro l'altra erano sinonimo di debolezza e vulnerabilità, e invitavano all'attacco le truppe avversarie per una sicura vittoria.

Gli Svizzeri, depositari monopolistici di queste conoscenze, ne erano ovviamente gelosi custodi per i lauti guadagni che ne ricavavano. La loro sapienza militare era trasmessa oralmente e acquisita in lunghi addestramenti con istruttori veterani al riparo da occhi indiscreti nelle valli alpine.

Per un Principe europeo fare la guerra senza Svizzeri o, peggio, contro gli Svizzeri era molto rischioso: ma la loro forza li aveva resi avidi, arroganti, impudenti, inaffidabili.

Affidarsi alle truppe mercenarie non era solo enormemente costoso, ma metteva doppiamente a repentaglio le finanze dei principi per la qualità ancora primitiva della contabilità pubblica:innanzitutto c'era un'abbondanza di mercenari sconosciuta nel Medioevo, e spesso se ne arruolavano più di quanti non si potesse pagarne (non solo perché dal loro numero dipendeva la vittoria, ma anche perché non entrassero al servizio dell'avversario), e ancora più spesso ci si accorgeva in ritardo che le entrate del tesoro regio non erano quelle attese.

La guerra "tendeva all'assoluto" come avrebbe detto von Clausewitz, mandando in bancarotta non solo gli sconfitti, ma anche i perdenti.

Innanzitutto, comunque, era indispensabile violare il monopolio degli Svizzeri.

Massimiliano d'Austria per primo nel 1487, non ancora Sacro Romano Imperatore, provò a copiarne il modello, creando i Lanzichenecchi, una forza sempre mercenaria, ma al servizio (almeno in teoria) di un'unica corona: la sua. Per addestrarli si avvalse inizialmente dei servigi anche di Svizzeri pronti a tradire la propria comunità per denaro.

L'esperimento riuscì, ma non poteva servire immediatamente da esempio per altre armate, come quella Francese o Spagnola, che dovettero risolvere il problema in modo indiretto: i primi cercando di monopolizzare i servizi degli Svizzeri e dotandosi del più grande parco di artiglierie dell'epoca, i secondi, tramite l'acume del Grande Capitano Gonzalo da Cordoba, facendosi prestare i Lanzichenecchi dagli Austriaci, per imparare da questi, e facendo affidamento sulle armi da fuoco portatili, i sempre più affidabili, economici ed efficaci archibugi, in sostituzione delle più costose balestre. La riunione di Spagna e Austria sotto la corono imperiale di Carlo V, servì a fare delle fanterie Spagnole, Tedesche, Fiamminghe e Italiane le dominatrici dei campi di battaglia d'Europa.

Appariva chiaro a tutti, comunque, che il problema non era soltanto tattico, ma più generalmente etico, ovvero relativo alla qualità complessiva dei combattenti. Era evidente quanto un affare serio come la guerra non potesse essere lasciato nelle mani di bizzosi mercenari, ma che qualsiasi esercito avesse bisogno innanzitutto di disciplina, forza d'animo, solidità morale, e di stabilire un leale legame con la realtà nazionale e la casa regnante che la rappresentava.

Se la cultura della guerra degli Svizzeri era inimitabile, quello che il clima dell'epoca suggeriva era non tanto la sua sostituzione ma il suo superamento qualitativo, con l'invenzione di una "scienza" della guerra e di una inedita etica politica.

Insomma si doveva inventare una nuova etica nazionale che legasse l'esercito alla politica, si dovevano instillare negli eserciti "nazionali" i pregi dei tanto vituperati mercenari senza replicarne i difetti, ma anzi sostituendoli con i luminosi pregi delle armate di Scipione e di Cesare.

Campagne militari con orizzonti sempre più ampi, eserciti sempre più numerosi e costosi, interessi che valicavano il continente europeo per aprirsi al nuovo Mondo, richiedevano uno sforzo intellettuale nuovo e uomini capaci di interpretare il mestiere delle armi con una forza mentale e conoscenze assolutamente inedite e tutte da inventare.

Il Rinascimento, rispecchiandosi nella classicità, riconosceva all'uomo capacità che trascendevano le sue qualità fisiche e che potevano dominarle: conoscenza e cultura erano diventate più importanti e decisive delle condizioni date dalla Natura, perché potevano, anzi dovevano, modificarle.

Il sapere e l'intelligenza entravano prepotentemente, per non uscirne mai più, in un ambito che fino allora sembrava appannaggio esclusivo del coraggio e della forza bruta: lo spirito del Rinascimento stava rivoluzionando la guerra.

Gli interpreti di questa rivoluzione furono da un lato imitatori illuminati come Massimiliano d'Austria e Gonzalo da Cordoba, e dall'altra intellettuali come Machiavelli e Bartolomeo d'Alviano, capaci di analizzare astrattamente un problema per tradurlo appena possibile in pratica.

La cultura del Rinascimento, con la sua profonda comprensione dei classici Greci e Latini, giunse a presentare anche agli uomini d'arme del tempo (e non solo agli artisti o agli architetti) modelli di perfezione – senza dubbio i migliori possibili – ai quali ci si poteva ispirare per risolvere contemporaneamente tanto i problemi tattici, quanto quelli politici e morali.

Gli eserciti Ellenistici di Alessandro avevano infatti conquistato il mondo con lunghe picche (come quelle in uso ormai generalizzato alle fantrie dell'epoca) e gli eserciti Romani con le proprie forze avevano fondato un impero durato secoli e avevano ovunque lasciato le loro eterne tracce in Europa.

Gli stessi Svizzeri nutrivano con orgoglio la leggenda, adombrata dallo stesso Machiavelli, che la virtù militare romana si fosse preservata miracolosamente per secoli proprio nelle remote valli alpine, ed essi ne fossero gli eredi diretti.

Il trattato de re Militari di Renato Vegezio era stato letto avidamente dai militari dei secoli precedenti, ma altri testi si aggiungevano, saggi storici e trattati militari, ampliando questo panorama culturale e fornendo spunti di riflessione fertilissimi, quando non esempi pratici di manuali quasi pronti da impiegare sul campo di battaglia.

L'opera di Arriano, ad esempio, mostrava ai comandanti dell'epoca quanto la falange di picche potesse essere elastica e come agilmente fosse in grado di interpretare sul campo di battaglia formazioni complesse come il cuneo, la forbice, la mezzaluna, ed altre ancora.

Non si era pronti a tanto, ma le opportunità offerte dai grandi del passato erano a portata di chi ne comprendesse i meccanismi.

L'unico trattato di Niccolò Macchiavelli pubblicato quando era in vita, l'Arte della Guerra, del 1521, fu anche la prima opera che sviluppò questo argomento in modo approfondito per quanto ancora astratto.

Vitellozzo Vitelli e suo padre Niccolò in Romagna nel 1495 avevano già addestrato unità locali armate di picche ottenendo ottimi risultati, ma fu il condottiero della Serenissima Bartolomeo d'Alviano il primo ad introdurre nella propria armata misure che ne rafforzassero la disciplina sul modello delle Legioni romane, bandendo dal suo campo la blasfemia, le risse e le prostitute, alle quali veniva tagliato il naso se venivano prese ad esercitare nell'accampamento.

Dopo la sconfitta di Agnadello, alla Serenissima serviva un riforma che la avvicinasse ad un modello di virtù civiche al quale riteneva legittimo confrontarsi, la Roma repubblicana, con i sentimenti patriottici che questa era stata capace di ispirare come parte integrante della cittadinanza.

Gli ufficiali e la truppa di Alviano dovevano giurare fedeltà alla Repubblica di Venezia, proprio come i legionari tramite la "devotio" vincolavano la propria vita alla Repubblica di Roma.

Sono ancora esperimenti limitati, ma non c'è da attendere molto perché si passasse a pensare in grande. Infatti gli intellettuali dell'epoca come sono soliti fare gli intellettuali migliori, studiano, scrivono lettere, pubblicano libri, confrontano le proprie idee, creando un humus fertile destinato a diffondersi in tutta Europa.

La cultura della guerra accumunò l'Europa con le stesse idee, lo stesso lessico, le stesse istruzioni tattiche, gli stessi impulsi al rinnovamento.

Dopo la sconfitta di Pavia del 1525 e l'umiliante prigionia a Madrid, il sovrano francese Francesco I era infatti chiamato a soluzioni drastiche e radicalmente innovative.

Il 24 luglio del 1534 emanò un'ordinanza tanto innovativa quanto coraggiosa con la quale avviava la creazione di sette legioni di 6.000 uomini ciascuna (tanti quanti nella Legione romana descritta da Vegezio), arruolate su base volontaria in altrettante regioni del suo regno.

Di fatto riuscì a metterne in campo solo 4 ma l'obiettivo di costruire un nuovo esercito francese, formato di sudditi leali e sottoposti a giuramento, ad un rigido codice di disciplina e ben addestrati, spostava il baricentro delle armate di Francia dalla cavalleria alla fanteria, sposando in un unico provvedimento motivi politici, sociali e militari.

Questo tentativo di formare una fanteria nazionale regolare aveva un precedente nel bisnonno di Francesco, Luigi XI, che nel 1480 aveva radunato delle "Bande" di volontari anch'esse di provenienza regionale, con il contributo di addestratori svizzeri e spagnoli, ma non ebbe migliore successo: le "legioni" di Francesco I

L'Italia dell'epoca è all'avanguardia di ogni cosa avesse a che fare con la cultura e l'arte militare non poteva rimanere esclusa.

Il contributo principale italiano al rinascimento militare, tuttavia, non fu propriamente bellico ma innanzitutto scientifico: né poteva essere altrimenti.

Innanzitutto con Machiavelli, ovviamente, che spiegò la Politica all'Europa, ma non solo.

Nella prima metà del Cinquecento, Niccolò Tartagla, un genio poliedrico, produsse studi di ingegneria utili per le fortificazioni e calcoli balistici che Galileo Galilei perfezionò con i suoi studi sul moto dei corpi. Lo stesso Galilei insegnò matematica ai militari.

L'uomo che più di ogni altro, però, fornì il suo ingegno alla causa del Rinascimento militare, fu il matematico Girolamo Cattaneo.

Torniamo così al problema che vi ho sottoposto all'inizio: se non avete trovato la risposta ve la dico io.

Prima però un altro po' di tattica rinascimentale.

Il quadrato di picche era lo schieramento Rinascimentale per eccellenza, perché il più solido, il più semplice e capace con pochi movimenti di respingere attacchi da ogni lato.

E poi, guarda caso, era la formazione prediletta dagli Svizzeri...

quadrati rinascimentali

Ne venivano impiegate le modalià più diverse: a sinistra un quadrato di picchieri (in bianco) con quattro "corni" di tiratori (in grigio), al centro un quadrato completamente circondato da tiratori e a destra un quadrato con due "maniche" di tiratori.

La loro grandezza e composizione dipendeva dal numero e dal tipo di truppe che si aveva a disposizione: con meno tiratori i corni potevano essere solo due o tre, e potevano essere disposti sul fronte o di lato, a discrezione del comandante.

Mantenere ordine e allineamento, eseguire quelle complesse manovre moltiplicò la necessità di quadri intermedi come caporali e sergenti, che divennero l'ossatura portante di ogni armata, tanto in fase di addestramento, quanto sul campo di battaglia: i sottufficiali erano gli occhi e l'anima di una formazione e la schiearavano sul campo di battaglia intessendola come una tela: da qui il termine "fila" e persino il termine tedesco per Sergente, Feldwebel, "tessitore del campo".

Il sergente maggiore Giovacchino da Coniano, Italiano al servizio inglese, ne catalogò 32 sostenendo di riferirsi solo a quelle che aveva personalmente provato in battagllia.

quadrati a scacchiera


Sul campo di battaglia si cercava poi di schierare le varie unità a scacchiera: secondo l'esempio delle Legioni romane, con le unità distanziate di circa 50 metri l'una dall'altra per un mutiuo supporto e per incrociare e sovrapporre i campi di tiro.

Su imitazione degli Svizzeri, inizialmente il numero canonico di formazioni era di 3: un progresso "rinascimentale" portò a considerare l'utilità di articolare lo schieramento in un numero di formazioni maggiore.

Molto pragmaticamente, però, era il terreno del campo di battaglia che dettava le regole dello schieramento e per adeguarsi meglio alla varierietà di questi, in epoca successiva, sperimentò prima e adottò poi una riduzione della grandezza delle unità, il loro aumento di numero e il cambiamento della loro forma.

quadrato di picche Il problema chiedeva di distribuire 1.600 picchieri in una formazione il più possibile quadrata: ovvero con due lati circa pari ad A..

Il trabocchetto teso dalla tattica militare è che un uomo non occupa lo stesso spazio di fronte e in profondità, per cui per avere una formazione quadrata (detta "battaglia quadra di terreno") non è sufficiente calcolare la radice quadrata degli uomini dell'unità: la formazione che si otterrebbe sarebbe molto più lunga che larga.

Scrive Cattaneo:


«…essa Battaglia quadra di terreno, e questa Battaglia viene à essere larga due volte e un terzo più che la lunghezza, come vogliono i periti militari, antichi e moderni; e questa tal battaglia, è quadra di terreno, cioè tanto lunga, come larga.»

«…e havendo essi fanti la la sua debita distanza, di lunghezza piedi sette, e larghezza piedi 3.»

Un picchiere dunque occupava 3 piedi di fronte e 7 in profondità (Girolamo Cattaneo usa i piedi veronesi o veneziani di 34,76 cm.) e quindi il sergente che doveva disporli sul campo di battaglia doveva fare un calcolo un po' più complicato:

L'incognita X rappresenta il numero delle file di uomini, l'incognita Y il numero di righe: X*Y sarà uguale al totale degli uomini del quadrato N (nel nostro caso 1.600):

X * Y = N

A sarà per definizione uguale sia a (3*X) e sia a (7*Y).

Abbiamo quindi tutti gli elementi per risolvere l'enigma:

dato che (3*X) = (7*Y)

Y = 3/7 X

Sostituendo Y avremo

X* 3/7 X = N

Ovvero

X sarà uguale alla radice quadrata di 7/3 N.

In pratica il nostro quadrato avrà 61 uomini di fronte e 26 di profondità, ovvero sarà largo 183 piedi e lungo 182 e schiererà 1.586 uomini con l'avanzo di 14.



battaglia quadrata di terreno

84 picchieri schierati in Battaglia quadra di terreno


Tutti questi calcoli erano di competenza del Sergente, che per assumere il ruolo, infatti, doveva sapere leggere e scrivere: e piuttosto bene, come potete intuire.

La sua picca di comando spesso aveva inciso sull'asta un po' di radici quadrate, in modo da avere a portata di mano qualche calcolo già pronto.

A quelli che mancavano aveva pensato Girolamo Cattaneo nelle sue opere, producendo tabelle per schierare in quadrato da poche centinaia a molte migliaia di uomini. Di lui riparleremo: ma se ne sa molto poco. Si conoscono i suoi lavori, ritenuti dai comandanti dell'epoca i più utili per l'arte militare, ma non la data né il luogo di nascita.

Il suo contributo alla matematica applicata, oltre che alla tattica, si esplicò in campi come la logistica, l'architettura militare e l'artiglieria e le sue opere furono ristampate addirittura fino alla fine del Seicento e pubblicate anche in latino per essere lette anche fuori dalla Penisola.

 

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