torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > colonnina infame > Una battaglia di fantasia


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici


quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci


QUANDO I ROMANZIERI ESAGERANO

Una battaglia di fantasia

Nicola Zotti



Valerio Massimo Manfredi è un romanziere e a volte si fa prendere la mano dalla sua fervida fantasia.

Veramente singolare è la sua ricostruzione della battaglia di Zama pubblicata dal Corriere della Sera del 28 aprile 2005 a pag. 38.

Il torto principale Manfredi non lo fa a Scipione, al quale comunque toglie il merito della vittoria, non ad Annibale, cui pure addebita un piano cervellotico, ma a Polibio che secondo lui "si prende il gusto di lasciar trapelare come andarono in realtà le cose": insomma un Polibio furbesco e cialtrone che plasmerebbe il suo racconto per esigenze di bottega.

Lo storico greco sarebbe per Manfredi contemporaneamente una fonte affidabile eppure anche corrotta dalla necessità di compiacere la famiglia degli Scipioni: ma per fortuna c'è Manfredi a spiegarci che cosa Polibio ha voluto dirci veramente.

La battaglia l'ho già descritta altrove, basandomi su quanto detto da Polibio e sulla logica militare.

E la logica militare assiste tutto il racconto di Polibio, che non necessita di grandi interpretazioni per essere compreso.

Annibale tentò una battaglia di logoramento schierando le proprie truppe su tre linee (e non su due come malamente ricorda Manfredi): una prima linea di mercenari, una seconda di reclute cartaginesi, una terza, distanziata, di veterani, con la cavalleria divisa alle ali. Alla sua inferiorità in cavalleria rispetto ai romani poneva rimedio con 80 elefanti schierati davanti a tutta la prima linea.

I pachidermi scompaiono dalla sintesi del racconto polibiano che ci fa Manfredi: strano, perché il romanziere sostiene che Annibale avesse programmato una falsa rotta della propria cavalleria per attirare lontano quella romana, e altrettanto bizzarramente avrebbe potuto sostenere che fu Annibale a far impazzire gli elefanti e a far loro caricare le sue truppe per dare più credibilità allo stratagemma.

Il racconto di Manfredi a questo punto si fa acrobatico: Annibale avrebbe architettato secondo lui una nuova Canne attirando i romani con un movimento retrogrado dei veterani di cui Polibio assolutamente non parla.

Con le truppe che Annibale aveva a disposizione non erano proprio possibili manovre complesse come quella di Canne: l'unica sua speranza risiedeva nel consumare le energie romane sacrificando allo scopo le truppe meno importanti. Ma lasciamo parlare Polibio (Storie XV.16):

"(Annibale) aveva preparato un gran numero di elefanti e li aveva posti davanti all'esercito per sconvolgere e sfondare le linee degli avversari; aveva disposto in prima fila i mercenari e dopo questi i cartaginesi in modo da stancare fisicamente e indebolire i nemici, costringendoli a ottundere le spade per la gravità della strage e obbligare i cartaginesi che erano nel mezzo a star saldi e combattere come è detto nel verso di Omero: 'perché ognuno combatta per necessità anche se non vuole'. Infine egli aveva fatto fermare a una certa distanza i soldati più forti e combattivi perché, vedendo da lontano gli avvenimenti ed essendo a loro volta intatti di corpo e di animo, al momento del bisogno potessero intervenire e mettere a profitto tutto il loro valore. Se dopo aver fatto tutto quanto era in suo potere per vincere, egli fu sconfitto mentre fino a quel momento era rimasto invincibile, bisogna concedergli indulgenza, perché talvolta, la sorte è ostile ai tentativi degli uomini valorosi e talora, come dice il proverbio, ' un valoroso può incontrare un altro più forte di lui': ciò accadde in quell'occasione ad Annibale".

Manfredi, poi, dovrebbe ripassare le precedenti campagne di Scipione. Si accorgerebbe che la tattica di Scipione consisteva proprio nello sfruttare i disciplinati movimenti della legione per rischierarne le linee nel corso della battaglia.

Riferendosi infatti al ridispiegamento di Triarii e Principes ai fianchi degli Hastati nell'imminenza dello scontro decisivo coi veterani della terza linea, Manfredi lo descrive "manovra rischiosissima a cui si ricorre solo in casi estremi": al contrario Scipione vi basava i suoi piani di battaglia e a quello scopo aveva addestrato le sue legioni.

Diamo infine a Manfredi il beneficio di una traduzione diversa dalla mia e non manipolata quando cita un passo di Polibio: "ma allora proprio per fortuna apparve la cavalleria di Lelio e Massinissa", che invece nelle mia traduzione è: " (...) l'esito della lotta rimase a lungo indeciso, finché le forze di Massinissa e Lelio, reduci dall'inseguimento della cavalleria, non subentrarono proprio al momento opportuno".

Non è fortunoso l'arrivo della cavalleria romana e di quella numida alle spalle dei veterani cartaginesi. Non è casuale che Lelio e Massinissa dopo un combattimento ed un inseguimento (perché non erano andati a funghi) riescano a radunare, distogliendola da una facile strage, una forza disordinata ed esaltata, la riorganizzino e la convincano a combattere ancora.

Come non fu un caso che la stessa manovra riuscì alla cavalleria di Annibale a Canne.

Neppure l'ignoranza è casuale e a voi decidere l'origine di quella di Manfredi.


Post Scriptum del 15 7 2005

L'attento lettore Marco Galandra (autore di alcuni libri d'argomento militare, tra cui "Le baionette sagge", sulla campagna di Suvorov in Italia nel 1799", e "La battaglia di Pavia, 24 febbraio 1525") mi invita a considerare le opinioni espresse da Giovanni Brizzi sulla battaglia di Zama in un capitolo del suo libro "il guerriero, l'oplita, il legionario", che per molti versi sono simili a quelle di Manfredi.

Ho letto Brizzi e dico sottovoce, perché ovviamente ne rispetto il prestigioso curriculum, che non ne condivido le opinioni.

Su Zama, nella fattispecie, (vedi ad es. pag. 87 e segg.) non trovo conferme all'ipotesi che Brizzi fa sul piano di battaglia di Annibale.

Ma come: Brizzi premette che i mercenari erano poco disciplinati e impetuosi e poi sostiene che Annibale affidi loro una manovra tanto complicata e pericolosa come quella "di rompere al più presto il contatto ripiegando poi rapidamente e andando a disporsi ai lati dell'ultima schiera"?

Senza contare, poi, che in mezzo c'erano le milizie cittadine cartaginesi che per Brizzi sono "volenterose ma scarsamente addestrate" mentre Polibio, citando Omero, ne descrive con ironia tutta la riluttanza al combattimento.

Non condivido neppure la supposizione che Annibale abbia ordinato alla cavalleria di "non opporre che una resistenza fittizia, ritirandosi rapidamente e trascinandosi dietro il più lontano possibile le forze di Lelio e Massinissa".

Per assistere a questo tipo di manovra dobbiamo fare riferimento alle cavallerie nomadi asiatiche: quelle ellenistiche non potevano praticarla. Erano cavallerie da urto o al massimo da schermaglia il cui compito era di attaccare punti deboli nemici o di proteggere le ali dello schieramento.

Progettare di privarsi deliberatamente della copertura sui fianchi, prima ancora di conoscere l'esito della carica degli elefanti è un rischio che non avrebbe avuto alcun vantaggio, anche perché nessuno poteva garantire ad Annibale che la cavalleria romana si sarebbe fatta irretire rimanendo cortesemente fuori dalla battaglia.

Immaginate comunque la scena: 80 elefanti attaccano appoggiati da un po' di fanterie leggere e, qualsiasi sia stato l'esito di questo attacco, da destra a sinistra su tutto il campo di battaglia, cavallerie cartaginesi e fanterie mercenarie, dopo essere avanzate contro i romani, fingono una rotta, effettuando un ripiegamento generale della prima linea. L'attacco degli elefanti sarebbe quindi per Brizzi un atto tatticamente isolato dal resto del contesto della battaglia e non il suo preludio.

Stessa scena quando i romani fossero giunti dalle parti delle milizie cittadine, definite, lo ricordo, "scarsamente addestrate": eppure avrebbero dovuto fare, in arretramento, una manovra che, in avanzamento, Scipione ha da pochi anni insegnato ai legionari romani e che sappiamo essere "eccezionale" nella storia militare romana e non.

Marciando in diagonale per il campo di battaglia, coi legionari che suppongo sarebbero rimasti ammirati a guardare, le milizie cittadine avrebbero dovuto percorrere circa 1.500 metri per schierarsi al fianco dei mercenari, a loro volta a fianco dei veterani: un fronte che a questo punto, complessivamente, sarebbe di 3.500-4.000 metri, quando i superstiti dei 16.000 legionari (senza i veliti) presenti a Zama avrebbero potuto occupare una fronte estesa di 2.400 metri!

Se questa fosse stata la situazione, e soprattutto se il piano di Annibale coincidesse con quanto asserisce Brizzi, sarebbero stati i cartaginesi a dover accelerare lo scontro avanzando contro i romani per approfittare della loro disorganizzazione e non viceversa, come sappiamo dal racconto Polibiano.

Non pago, Brizzi affida a quelle stesse milizie "scarsamente addestrate" il compito di manovrare per attaccare sui fianchi i legionari: che è come affidare ad un'infermiera neo assunta il compito di fare l'operazione, mentre il chirurgo (i veterani) le porgono i ferri.

Brizzi e Manfredi la fanno troppo complicata, si contraddicono e soprattutto sono militarmente illogici: ma naturalmente questa è solo la mia opinione..