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LA PIU' FAMOSA BATTAGLIA DI ANNIBALE

la battaglia di Cannae

nicola zotti



La piana della battaglia vista dal sito archeologico di Cannae

(CANNE: IL PRIMA)


Canne è una battaglia eccezionale: senza dubbio il capolavoro di Annibale, la più annibalica tra le sue battaglie.

Periodicamente mi metto a riflettere su Canne e su un altro pugno di battaglie che nascondono il segreto del genio: ogni volta scopro un dettaglio diverso e un messaggio nuovo: un po' come quando si guarda un grande quadro.

Dunque Canne.
Datemi un gesso e una lavagna.

Il campo di battaglia di Canne, oggi sfigurato da una stazione di servizio, è una pianura delimitata a nord-ovest dal fiume Ofanto e a sud-est da colline, che si sviluppa per una larghezza di poco più 3 di chilometri.

Annibale fu molto abile ad attirare da questa parte del fiume i romani: spostò il campo da Cannae al lato sinistro del fiume per impedire che questi potessero penetrare verso il terreno collinoso più a sud, dove la sua cavalleria si sarebbe trovata a disagio, poi mostrò la sua volontà di combattere: ma nella pianura a destra del fiume.

Con una serie di studiati espedienti spinse il più avventato dei due consoli ad accettare la battaglia: ricordo che il comando militare era responsabilità dell'uno o dell'altro a giorni alterni.

Il console Emilio era un “fabiano” forse riluttante a intraprendere azioni militari troppo aggressive, mentre Varrone era ansioso di confrontarsi con Annibale, confidando nella superiorità dei propri numeri: quasi doppi rispetto a quelli nemici.

In ogni caso il mandato affidato dal Senato ai due consoli era chiaro e incontrovertibile : sconfiggere Annibale in battaglia.

Annibale conosceva la maggiore disponibilità di Varrone a dare battaglia, e poteva immaginare la tattica che questi avrebbe scelta: quella di sfondare la linea cartaginese col puro peso dei numeri, come era riuscito ai legionari, seppure troppo tardivamente, alla battaglia della Trebbia. Altre tattiche i romani in quell'epoca non sapevano o non potevano proporre: tanto meno su un terreno apparentemente innocente, ma in realtà spettacolarmente infido, come quello suggerito da Annibale.

Schieramento iniziale

Lo schieramento e le forze iniziali


Il giorno della battaglia le forze “cartaginesi” sono così composte da 8.000 fanti Africani, 6.000 Spagnoli, circa 15.000 Galli, e 11.000 fanterie leggere da schermaglia di varia nazionalità, mentre la cavalleria conta 4.000 cavalieri pesanti Africani e 2.000 spagnoli, e 4.000 cavalieri leggeri Numidi.

Possiamo solo immaginare lo sconcerto di tutti loro quando la mattina del 2 agosto videro uscire dai campi romani per riunirsi sul lato destro dell’Ofanto, una processione di 14 legioni (due rimasero nel campo maggiore), 70.000 fanti (dei quali 55.000 fanti pesanti e 15.000 leggeri tra romani e alleati) e 6.000 cavalieri.

Un’armata senza precedenti nella storia di Roma che se impressionava gli avversari, creava anche problemi tattici di difficile soluzione agli stessi Romani.

Accettando di combattere sul campo scelto da Annibale, i romani si trovarono in uno spazio comunque troppo stretto per schierare tutte le loro forze: otto legioni romane più altrettante alleate, rinforzate a 5.000 uomini forse portando da 60 a 80 uomini ciascuna centuria di Hastati e di Principes.

Se si fossero seguiti i consueti canoni di schieramento, l’armata romana si sarebbe dispiegata lungo un fronte di almeno 6 chilometri, rendendola assolutamente incontrollabile.

Livio ci fa sapere che Varrone dispose le fanterie schierando i manipoli molto più vicini dell'usuale e con profondità molto maggiore. Polibio concorda affermando che i manipoli erano "più fitti del solito e [...] molto più profondi che larghi".

Una prima ipotesi è che le legioni si posizionarono su due linee: 4+3 legioni avanti e 4+3 dietro, una seconda (che è quella più probabile e sarà l'unica che prenderò in esame) è che si disposero le 4 armate consolari allineate, con le centurie su 5 anziché sulle 10 usuali fila, e di conseguenza con il doppio dei ranghi: ogni manipolo, a centurie incolonnate, potrebbe quindi essere un rettangolo di 5 uomini per 32, che occuperebbe uno spazio di circa 4,5 metri di fronte e 57 di profondità, ovvero un rapporto 1 a 13. A centurie affiancate (ovvero al momento del combattimento)

Ogni legionario, infatti, occupava uno spaio di 3 piedi romani di fronte e di 6 di profondità. Data la lunghezza del piede romano di 295,7 mm, e senza calcolare altri spazi opportuni e probabili, questi vanno considerati gli spazi minimi occupabili.

Molto probabilmente ogni manipolo aveva uno spazio di almeno altri 3 piedi di agio, il che portava a circa 10 metri il fronte occupato

Ogni legione quindi occupava uno spazio teorico minimo di 90 metri: 9 metri per ciascuno dei 10 manipoli costituito da due centurie ognuna col fronte dimezzato (4,5x2). Calcolando anche gli spazi minimi indispensabili tra i manipoli e quelli tra una legione e l'altra si arriva a circa 100 metri per legione.

La largezza teorica minima di 7 legioni è dunque di 630-700 metri: una massa di 700 uomini di larghezza per 70 di profondità. Invece 7 legioni schierate con gli alleati sulle ali, le centurie a fronte dimezzata e profondità raddoppiata, distanziate da mezza centuria (ovvero per ogni legione un fronte di 100 uomini con le centurie di ogni manipolo affiancate) equivalgono a 1.400 uomini di fronte e una profondità di 35 ranghi (16 di Hastati, 16 di Principes e 3 di Triari), che occupano una fronte di poco più di 1.500 m.

Riassumendo, dunque, si decise di dimezzare il fronte di tutte le unità, raddoppiandone la profondità, convinti che questo non solo servisse a ridurre il fronte della formazione romana a proporzioni più accettabili, ma contemporaneamente fornisse a quella imponente massa di uomini una forza tale da schiacciare l’avversario sotto il loro peso.

Tutta questa densità era eccessiva e dannosa. Impediva ai romani qualsiasi movimento. Quale fosse il motivo dello schieramento scelto dai consoli non è chiaro, perché molti storici sollevano dubbi sulla capacità delle legioni di esercitare una spinta simile all'othismos degli opliti greci, a motivo, tra le altre cose, dell'umbone degli scudi romani che non doveva essere piacevole avere piantato nella schiena durante un'azione di spinta collettiva. Polibio, tuttavia, è esplicito nel definire la prima linea di Annibale costretta a ritirarsi perché "oppressa dalla massa", e questa affermazione sembra testimoniare a favore di una vera e propria pressione fisica.

La cavalleria occupò come di prammatica le ali: all'ala sinistra la cavalleria romana, a quella destra la cavalleria alleata. Un altro chilometro e mezzo circa è occupato complessivamente dalle cavallerie (da un minimo di 1.350 metri ad un massimo di 1.800).

Annibale, però, non era uomo da lasciarsi sorprendere, e nel suo piano aveva previsto lo schieramento romano. Per Annibale, infatti, il campo non era affatto troppo limitato: ai fianchi degli schieramenti di fanteria si aprivano due ampi e comodi corridoi, nei quali la sua cavalleria avrebbe potuto manovrare agilmente.

Inoltre giocavano a suo vantaggio il pendio leggero che avrebbe agevolato le cariche della sua cavalleria e il vento Volturnus che soffiava da sud-est dalle spalle del suo schieramento buttando polvere negli occhi dei romani.

Sciami di fanterie leggere con giavellotti, archi e fionde occuparono la pianura schermagliando tra loro per dare il tempo ai rispettivi eserciti completare il loro schieramento. Quando terminarono gli schermagliatori si ritirarono e la battaglia vera e propria poteva avere inizio.  All’apparenza le due formazioni sembravano speculari: con un fianco appoggiato al fiume, i 2.400 uomini della cavalleria romana fronteggiavano i 6.000 cavalieri Africani e Spagnoli; seguivano le legioni nella loro formazione serrata e profonda, attendendo l’ordine di avanzare contro i loro avversari. Questi presentavano uno spettacolo singolare: gruppi di Spagnoli nelle loro tuniche bianche bordate di rosso, infatti, erano intercalati a compagnie di guerrieri galli, molti dei quali combattevano nudi.

Ai loro fianchi, forse ancora nascosti da fanteria leggera, i veterani dell’Africa, divisi in due colonne di 4.000 uomini ciascuna. Chiudevano lo schieramento romano i 3.600 uomini della cavalleria alleata che se la sarebbero dovuta vedere contro un numero di poco superiore di cavalieri della Numidia.

Come nella tradizione ellenistica, quindi, la cavalleria cartaginese è divisa in un'ala forte e in una di contenimento.

I movimenti iniziali

I romani contattano il centro mentre la propria cavalleria viene sconfitta dai cartaginesi


Un ordine, che trovò immediata eco nella schiera avversa, e le truppe iniziarono a muovere l’una contro l’altra: i Romani come un monolitico rullo compressore, i Cartaginesi secondo quanto prevedeva la prima fase del piano di Annibale

La fanteria cartaginese non avanzò nella sua interezza, bensì a scaglioni, con il centro più avanzato e le altre compagnie a scalare verso destra e verso sinistra, venendo a formare un semicerchio.

I primi combattimenti scoppiarono tra le cavallerie sulle ali, e se sull’Ofanto Romani e Cartaginesi furono subito avvinghiati in uno spietato corpo a corpo, sul fianco opposto, invece, la cavalleria alleata non riusciva a chiudere il contatto con gli evasivi Numidi. Sui loro piccoli, agili cavalli, gli Africani sfuggivano al combattimento, tormentando gli avversari a distanza col lancio di giavellotti.

Lo schieramento fa tutt'uno col piano di battaglia, è un unico meccanismo finalizzato alla distruzione di un'armata nemica che si è fatta confinare in uno spazio ristretto.

Al centro, la particolare formazione cartaginese costringeva i Romani a combattere solo contro la frazione più avanzata degli avversari. Quando Galli e Spagnoli indietreggiavano sotto il peso dei Romani, questi entravano in contatto con le unità nemiche degli scaglioni arretrati, aumentando così il fronte dei combattimenti e la resistenza complessiva avversaria.

Lo schieramento cartaginese agiva come un ammortizzatore, allungando i tempi della battaglia  e con essi la fatica e lo stress non solo delle truppe ingaggiate nei combattimenti, ma anche di quelle delle file interne. Queste, in larga parte composte da reclute, attendono con angoscia il loro momento. Accalcati l’uno sull’altro, gli uomini avanzano calpestando morti e feriti, senza capire o vedere nulla di ciò che succede nelle prime linee, dalle quali sentono provenire terribili urla di dolore, ordini concitati e clangore di armi.

La formazione di fanteria cartaginese va letta nella sua simmetria, dividendola per un asse centrale: si tratta di un doppio fianco rifiutato rinforzato, ovvero di due diagonali accostate con le estremità "forti": una, quella proiettata verso il nemico, per resistere il più possibile alla sua pressione e dare il tempo materiale alla seconda, quella lontana, di operare l'aggiramento, i cui tempi sono dettati e scanditi dall'azione della cavalleria, che deve sopraffare le ali nemiche per chiudere l'aggiramento.



La manovraa di cavalleria

I legionari fanno indietreggiare celti e iberici, ma nel frattempo la battaglia sulle ali è persa: la cavalleria pesante si muove dietro le legioni


La cavalleria pesante cartaginese compie un'azione non comune nella storia militare: addirittura una tripla carica, dimostrando di essere non solo sotto controllo, ma eccezionalmente misurata nello sforzo.

La cavalleria romana per prima è sopraffatta dal numero quasi triplo dei nemici e costretta alla fuga. Asdrubale Barca, fratello di Annibale, che comanda quelle truppe, ne getta quindi una frazione al loro inseguimento, trattenendone con sé la maggior parte.

La trappola di Annibale sta per chiudersi, ma ancora i Romani non possono comprendere che il loro destino è già segnato. Asdrubale, infatti, attraversa tutto il campo di battaglia alle spalle delle legioni, e il suo solo apparire sul fianco della cavalleria Alleata la manda in rotta, subito inseguita dai Numidi che non le daranno tregua. Il tempo di riorganizzarsi, e Asdrubale e i suoi cavalieri sono pronti a un ultimo e decisivo sforzo, dando prova di una disciplina e un addestramento unico nella storia militare.



accerchiamento finale

Il centro cartaginese sembra prossimo a cedere ma in realtà la trappola è scattata e i Romani sono completamente circondati

Mentre i romani consumano tempo ed energie proseguendo a la propria pressione sui galli e sugli iberici, la cavalleria pesante di Asdrubale è pronta all'attacco finale.

Per almeno metà della battaglia (che durerà in tutto ben 9 ore) i caduti da una parte e dall’altra si equivalgono: un equilibrio inevitabilmente destinato a rompersi seguendo passo dopo passo il piano di Annibale.

In quello stesso momento, infatti, i Romani hanno schiacciato, avanzando, lo schieramento nemico, e sarebbero ormai sul punto di romperlo se sui loro fianchi scoperti e indifesi non calasse con violenza l’attacco delle due formazioni di veterani africani che attendevano solo questo momento per intervenire.

Ed è anche ciò che aspettava Asdrubale per completare con una carica alle spalle l’accerchiamento dei Romani e dando avvio alla strage.

La trappola è chiusa. Ogni elemento dell'esercito cartaginese ha fonito un contributo essenziale ed irrinunciabile alla riuscita dell'impresa.

Saranno forse 40.000, su un totale di 50.000 circa, i romani esausti psicologicamente prima che fisicamente che si lasceranno uccidere nella tonnara che si è formata, trasformando la terra in fango con il loro sangue: quasi 150.000 litri di sangue romano trasformarono quella pianura in un acquitrino.