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SUN TZU O VON CLAUSEWITZ?

Le radici culturali della strategia contro il terrorismo

nicola zotti

Il terrorismo internazionale di matrice islamica pone agli analisti strategici, ai politici e agli uomini di cultura una fitta lista di domande.

Le indagini e i contributi spaziano dalla definizione del fenomeno e dall’esplorazione della sua natura profonda, ad agende più specifiche e operative come l’individuazione degli strumenti concettuali più adatti a comprenderlo e a prevenirne le azioni, fino alle strategie e alle tattiche più idonee a contrastarlo.

L’analisi critica si catalizza attorno a due dilemmi: se gli insuccessi – o gli insoddisfacenti risultati, se preferite – della condotta fin qui seguita, siano dovuti all’inadeguatezza degli apparati analitici o, più semplicemente, al fatto che tali analisi siano state parziali, mal condotte o addirittura in sostanza assenti.

Per quanto astratte possano sembrare queste ultime domande, dalle risposte si può assolvere o condannare un governo, in particolare riguardo la prima e più politica delle riflessioni: una cosa è dire che un governo ha fatto scelte non meditate, un’altra – ai confini dell'assoluzione/autoassoluzione – è che le ha ponderate con un metro inadatto.

Un dibattito che assume toni insolitamente radicali, eppure nasconde dietro di essi una sostanziale superficialità.

È per lo meno singolare, intendo dire, che la guerra al terrorismo, evocando nel dibattito politico una ricerca di punti di riferimento profondi, ne scelga poi di assolutamente bizzarri, senza provocare praticamente alcuna reazione.

Che cosa penseremmo, infatti, se qualcuno contrapponesse il pensiero di Confucio a quello di Immanuel Kant per sostenere che le idee del filosofo cinese sono più feconde della capacità di individuare riferimenti per la filosofia politica dei nostri giorni?

Probabilmente ci apparirebbe quanto meno un accostamento forzato, e reagiremmo storicizzando il contributo dei due filosofi, riconoscendo a Confucio una qualità seminale come fonte di riflessione, mentre nell’opera di Kant, al di là dei due secoli trascorsi, ritroveremmo tratti di contemporaneità, strumenti i quali, per quanto antichi, ancora corrispondono ai bulloni e alle viti della nostra società.

I meno politicamente corretti liquiderebbero sbrigativamente la questione come un infantile esotismo figlio di una moda misticizzante, e chiederebbero forse il perché dell’esclusione di Platone, che di Confucio è quasi contamporaneo.

Se il mio vi sembra un problema ozioso, riflettete sulla contrapposizione tra Sun Tzu e von Clausewitz che in questi anni occupa un posto di rilievo nel dibattito strategico-militare.

Sun Tzu è contemporaneo di Confucio e confuciano (VI secolo a. C.), von Clausewitz è contemporaneo (visse a cavallo tra il XVIII e XIX secolo) di Kant e Hegel e kantiano (nella prospettiva filosofica) ed hegeliano (nell’uso della dialettica): dovremmo quindi spontaneamente individuare la distanza che separa questi mondi e queste epoche, e la differente disponibilità che i due pensatori offrono alla nostra cultura e ai nostri dibattiti.

Eppure su Repubblica del 4 aprile 2007 in prima pagina (e poi a pagina 19), a firma di Mario Calabresi, scopriamo che nell’Accademia di West Point non solo il confronto si fa, ma che è già arrivato al verdetto: “l’antico maestro cinese Sun Tzu batte il prussiano von Clausewitz” nella capacità di contribuire a comprendere e contrastare il terrorismo islamico.

L’inviato di Repubblica ha visitato il Combating Terrorism Center, il dipartimento di studi nel quale vengono addestrati i cadetti che si occuperanno della lotta al terrorismo, ha assistito a lezioni, intervistato docenti e studenti, e le conclusioni non lasciano dubbi.

“Il maestro cinese – scrive Calabresi riferendo le impressioni che ha ricavato da una lezione tenuta dal tenente colonnello Joseph Felter, direttore del centro – appare più utile per anticipare l’offensiva taliban o capire come si muovono terroristi e guerriglieri in Iraq”.

“Nel momento in cui l’idea della guerra classica, come vittoria del più forte, rappresentata dal teorico militare prussiano e sintetizzabile con Cesare che schiaccia i Galli, viene messa in crisi da nemici sfuggenti e molteplici, allora si cerca lontano nel tempo. Si va in Cina a ripescare il profeta della guerra di movimento, bisogna imparare da Davide che batte Golia, Ulisse che inganna Polifemo, è la guerra asimmetrica teorizzata venticinque secoli fa”.

Queste affermazioni, dando per scontato che il giornalista Calabresi abbia esattamente compreso e riportato quanto ascoltato al CTC, sollevano perplessità: Giulio Cesare fu un politico prima che un militare ed adottò in Gallia una strategia controinsurrezionale basata su principi dottrinari tutt’altro che banali, ma soprattutto che cosa comporta scegliere Sun Tzu contrapponendolo a von Clausewitz?

La domanda non ha una facile risposta, anche perché, da quanto si legge, del generale cinese e soprattutto del tedesco non dobbiamo considerare le tesi “reali”, ma una loro rappresentazione, una sinossi ideologica e parziale.

Plasticamente, questo artificioso conflitto di idee è sintetizzato al centro della pagina di Repubblica. Sotto la dicitura “i teorici” vediamo le immagini di Sun Tzu e quella di von Clausewitz somministrate assieme a citazioni rappresentative dei rispettivi sistemi di pensiero: “LA STRATEGIA: Il condottiero più grande è quello che vince senza combattere”, per Sun Tzu. “LA FORZA: La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà”, per il tedesco. Così incasellati  i “teorici” – il primo individuato come lungimirante stratega, il secondo ruvido paladino della “forza” – passa in secondo ordine il fatto che la prima citazione individui nient’altro che un auspicio, mentre la seconda sia una definizione che delimita lo spazio di una complessa indagine teorica.

Come ho anticipato, questo dualismo, seppure non nei termini sbrigativi e semplicistici riportati dal giornalista di Repubblica, ha una sua eco nel mondo degli analisti militari.

L’attenzione verso Sun Tzu è antica. Fu tradotto in una lingua europea per la prima volta dal gesuita francese Jean Joseph Marie Amiot nel 1782, in omaggio alla curiosità intellettuale illuministica. Negli ultimi decenni, però, le traduzioni sono piovute come le cavallette bibliche assieme ad applicazioni nei più svariati campi, in particolare manageriale, trasformando il pensiero del militare cinese in un coltellino svizzero multifunzione, capace di rispondere alle esigenze della donna in carriera come a quelle del commesso viaggiatore.

Un fenomeno al quale molto ha giovato la brevità del testo, ma soprattutto la sua natura precettistica e la sua genericità, che si prestano facilmente alle più disparate interpretazioni. In poche pagine e 13 capitoli Sun Tzu tratta in realtà un unico argomento: i mezzi per acquisire la superiorità in guerra. La sua affermazione più nota, quella che nell’articolo è citata in calce al ritratto del cinese, è un assioma asintotico: “al limite” il comandante perfetto è quello che rispetta così compiutamente tutti gli aspettti della superiorità militare indicati da Sun Tzu da vincere senza neppure combattere.

Il pensiero di Sun Tzu si dipana lungo questa direttrice fondamentale presentando  una grande quantità di indicazioni pratiche anche minuziose, seppure in alcuni casi forse di dubbia utilità per la guerra al terrorismo, come le differenze tra una nuvola di polvere sollevata da una colonna di carri e quella provocata della fanteria, o l’avvertenza, se si è appiccato un fuoco, di non attaccare sottovento visto che il fuoco si propaga sopravvento.

Un indizio su che cosa i cadetti di West Point devono imparare da Sun Tzu per combattere il terrorismo viene dal professor Brian Fishman, secondo il quale

“la lezione più importante [appresa da Sun Tzu] è che non devi mai circondare i tuoi nemici, mai metterli con le spalle al muro: così li compatti, gli permetti di trovare la forza della disperazione e si coalizzano per sopravvivere. In Iraq – conclude il professor Fishman – non possiamo permetterci di avere tutti contro”.

Posto che qualcuno dovrebbe spiegare al prof. Fishman che quando hai “tutti contro”, sei tu ad essere circondato e non viceversa, in effetti Sun Tzu è molto netto nel segnalare il pericolo di portare alla disperazione il proprio avversario negandogli ogni via d’uscita, tanto che coerentemente si spinge persino a suggerire al “buon comandante” di costringere i propri stessi uomini “in una posizione dove non c’è possibilità di fuga” per sviluppare in loro quelle energie morali e quella assoluta determinazione di cui parla il professor Fishman.

I più fantasiosi tra i lettori già immaginano che domani in azione i cadetti di West Point anziché il tradizionale “arrendetevi: siete circondati!”, potrebbero sorprendentemente dichiarare “siete circondati: ci arrendiamo”.

Ma naturalmente non sarà così: vuoi perché lo stesso Sun Tzu precisa che se si possiede una superiorità 10 a 1 si può circondare il nemico, vuoi perché se il terrorismo è, come lo definisce lo stesso inviato di Repubblica, un nemico “sfuggente”, non si può ignorare che per sconfiggerlo si debba privarlo di questa caratteristica. Se il terrorismo è pericoloso perché elusivo (in senso spaziale), allora impedirgli di esserlo confinandolo in un luogo delimitato, ne depotenzia la pericolosità e ne permette la sconfitta militare.

Analogamente in senso sociopolitico, se i terroristi vengono isolati dalla popolazione,  è plausibile che le loro azioni si facciano sempre più disperate, ma è altrettanto probabile che le loro energie siano destinate inevitabilmente ad esaurirsi.

Affermazioni analitico-deduttive come queste ci fanno scivolare verso una razionalità tipica del quadro teoretico clausewitziano: ho individuato nell’elusività l’origine della forza del terrorismo, ovvero nella terminologia clausewitziana di interpretazione americana lo “Schwerpunkt” del terrorismo, e l’ho indicata come obiettivo all’azione militare.

Questo apre però lo spazio ad una razionalità che potremmo definire “suntzuiana”, e certamente compatibile e affine a quella clausewitziana. Il generale cinese a conclusione del terzo capitolo del suo trattato riporta un detto che ai suoi tempi doveva essere consolidato: “Se conosci il nemico e conosci te stesso, non avrai il timore del risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso ma non il nemico, per ogni vittoria guadagnata soffrirai una sconfitta. Se non conosci né te stesso né il nemico soccomberai in ogni battaglia”.

Massima ripresa ed enfatizzata dal tenente colonnello Joseph Felter: “Il terrorismo – leggiamo nell’articolo – è una guerra di idee e oggi c’è una scarsità di dettagli nella comprensione del nemico, della sua strategia, della sua tattica. L’arma vincente che possiamo dare ai nostri ragazzi sono le conoscenze intellettuali: o entreranno nella mente dei terroristi o non vinceranno”.

Rimane da stabilire se il tenente colonnello Joseph Felter impiega la stessa energia per rispettare appieno la massima di Sun Tzu -- quel preliminare "conosci te stesso" -- coltivando nei cadetti la conoscenza e il rispetto per le proprie radici culturali.