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UN LUOGO COMUNE DURO A MORIRE

Della presunta rozzezza dell'arte militare medioevale

nicola zotti




Uno dei luoghi comuni più duri a morire è che l'arte millitare medioevale fosse rozza e rudimentale. Un'opinione per altro sostenuta da storici militari molto noti.

Liddell Hart usa termini impietosi come "ottusa stupidità", Overstraeten scrive che "mai la guerra fu così imperfetta" e che gli eserciti medioevali erano "privi di una buona organizzazione e di una rigida disciplina", Muraise sostiene che si perdeva "la capacità di comando in un assalto totale e disordinato". E Gibbon arriva persino a criticare l'esercito bizantino asserendo che "i vizi delle armate bizantine erano intrinseci, le loro vittorie casuali".

Non sono così presuntuoso da pensare di poter abbattere un consolidato luogo comune in poche righe, ma spero almeno di riuscire a instillare qualche dubbio.

Spiego altrove che la disciplina è ineliminabile dalla guerra e però anche storicamente determinata: ovvero, per estensione, che da una società medioevale ci dobbiamo aspettare un'arte militare medioevale: non un'arte "inferiore" o più rudimentale di quella conosciuta in altre epoche, ma solo coerente con le dinamiche sociali.

Questa premessa sarebbe da sola sufficiente dal punto di vista dialettico ad impostare una confutazione del luogo comune e delle opinioni dei citati autori.

In un mondo scarsamente popolato, con una produttività agricola bassa, e con una ridottissima circolazione monetaria è impensabile, solo per fare qualche esempio, che le campagne militari potessero prolungarsi indefinitivamente, che gli eserciti avessero fisionomie consolidate o che ci fossero delle "accademie militari".

Tuttavia vorrei andare oltre e portare qualche indizio su come l'uomo medioevale comprendesse perfettamente le esigenze della guerra e facesse del suo meglio per risolverle con intelligenza e studio.

Nella fattispecie ho illustrato in alcuni scritti precedenti sulla logistica medioevale (i trasporti, la ferratura, il nutrimento e la gestione delle deiezioni dei cavalli) la complessità dei problemi che un esercito di campagna medioevale si trovava ad affrontare, e che pure venivano risolti; segno che le armate del periodo avevano un'organizzazione di tutto rispetto, soprattutto in relazione alle scarse risorse a disposizione.

Tra i beni rari, ad esempio, il più raro di tutti era il sapere e soprattutto i mezzi per diffonderlo. Ciononostante, l'uomo medioevale dimostrò un'inesauribile ansia di conoscenza e un'inesausta sete di sapere.

L'Epitoma de re militari di Renato Vegezio era l'unico manuale militare antico disponibile ed era considerato la massima autorità sull'arte militare: ne ha una copia il duca Eberardo del Friuli nella sua biblioteca addirittura nel IX secolo, ma estratti e sintesi ne circolavano in varie forme.

Il livello del dibattito su questo testo era così alto che, sempre nel IX secolo, l'erudito carolingio Hrabanus Maurus ne selezionò solo alcuni estratti, quelli che riteneva ancora validi ed attuali, per inviarli al re Lotario II, con l'avvertenza che l'adestramento di un giovane militare era di maggiore utilità in guerra di una dissertazione sulla legione romana.

Mano a mano che dalle nebbie del passato emergevano gli scritti degli autori antichi essi divenivano immediatamente oggetto di studi e di analisi approfonditi: il problema era che essi si rifacevano ad una forma di guerra diversa da quella medioevale, incentrata, come nel caso di Vegezio, prevalentemente sulla fanteria, e quindi incoerente rispetto ad un'arte militare cavalleresca, come aveva notato Hrabanus Maurus. A maggior ragione, quindi, dobbiamo apprezzare lo sforzo del'uomo medioevale di trarne un'ispirazione con un'umiltà che Bernardo di Chartres bene sintetizzava nella constatazione di essere "nani seduti sulle spalle di giganti".

Lo Strategikon di Maurizio sarebbe risultato molto più utile, ma non era diffuso in Occidente: JFC Fuller lo considera il miglior manuale militare fino al XIX secolo (alla faccia di Gibbon).

Ma Fuller non conosce la regola e gli statuti dell'ordine dei Templari: neppure Contamine (La guerra nel Medioevo), per il resto molto informato, ne parla, mentre ne tratta diffusamente Verbruggen (The art of War in Western Europe during the Middle Ages).

Questo testo (edito in Italia per ECIG a cura di Jose Vincenzo Molle) ci è pervenuto in tre copie stilate tra XIII e XIV secolo e nella parte degli statuti si configura come un vero e proprio manuale militare dedicato espressamente alla cavalleria, con minuziose indicazioni per ogni esigenza militare.

Ne riporto un estratto relativo allo squadrone e alla carica: solo un esempio dal quale potrete comprendere il grado di sofisticazione raggiunto dall'arte militare medioevale.

Vorrei notaste, tra le altre cose, l'enfasi dedicata a non abbandonare i ranghi, che evidentemente è funzionale al principio dell'economia delle forze, all'uso delle riserve, all'unità di comando, ad un agire ordinato e disciplinato nel combattimento: tutti principi dell'arte militare che, come abbiamo visto, prestigiosi storici militari negano con decisione: ma solo per ignoranza.

La natura essenzialmente pratica del contenuto degli statuti, e la sua coerenza con la struttura mentale dell'ordine monastico militare, suggeriscono alcune importanti considerazioni generali sull'arte della guerra medioevale: in particolare che si tratta di un sapere "raccolto" e non innovativo in sé, ovvero che i templari semplicemente accostarono le proprie regole militari, sistematizzandole, accanto a quelle monastiche.

Possiamo quindi ritenere che le minuziose regole di disciplina, di ordinamento e di comportamento descritte negli statuti siano di fatto in vigore in qualsiasi esercito medioevale, tanto più che la resa bellica della cavalleria templare non è significativamente diversa da quella della cavalleria laica: e se il loro valore era uguale, uguali dovevano essere le loro "regole".

Dare un peso eccessivo all'importanza del sapere scritto sarebbe un pregiudizio culturale moderno che impedirebbe di fatto di valutare correttamente altre organizzazioni militari prive di questa caratteristica.

Ad esempio non potremmo spiegarci i risultati ottenuti nel corso di secoli dalla dinastia carolingia senza conferire il giusto peso al ricorso ad una consolidata struttura militare e ad una organizzazione, non solo eccellente, ma in grado di perpetuarsi e di consolidarsi generazione dopo generazione.

All'estremo opposto, anche il pericolo magiaro -- che proprio i successori dei carolingi sventarono, Enrico I l'Uccellatore e suo figlio Ottone I il Grande di Sassonia -- nonostante le sue caratteristiche estemporanee di ricorrente stagionalità e di attività circoscritta ad un'élite guerriera, non si può spiegare se non lo immaginiamo ben coordinato e preparato: da un anno con l'altro i guerrieri magiari organizzavano le proprie scorrerie, che non avevano alcuna pretesa di guadagno territoriale, sceglievano i bersagli e si preparavano con la meticolosità di un'esperta banda di rapinatori che studia abitudini della vittima, le sue difese, la collocazione dei suoi tesori: e visto il terrore che incutevano nei contemporanei non erano certo una banda come "i soliti ignoti".

Gli storici moderni ampliando i propri studi all'analisi delle fonti in volgare e ai rinvenimenti dell'archeologia militare col tempo probabilmente faranno giustizia dei luoghi comuni e degli errori radicati: lo spero vivamente: approvo e sostengo qualsiasi iniziativa faccia scomparire quello stupido senso di superiorità che l'uomo moderno prova verso quelli che l'hanno preceduto.