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METAURO, FANO (PS), CENTRO tav. 7 F6

Il Metauro 207 a. C.

nicola zotti


La marcia di Nerone

Nerone -- riprendendo la narrazione di Tito Livio -- ha tra le mani il messaggio di Asdrubale e si affretta a mandarlo a Roma con le indicazioni di come intende sfruttare la situazione: vuole abbandonare il proprio campo alla testa di un contingente di truppe scelte, effettuare una marcia forzata che lo porti a congiungersi con l'altro console e con questa armata composita affrontare e sconfiggere Asdrubale. Quindi, a vittoria ottenuta, ritornare celermente al proprio campo prima che Annibale possa accorgersi di quanto è accaduto.

Detta così sembra una cosa da nulla: in realtà si tratta di una delle più geniali intuizioni militari di tutti i tempi e certamente gode un rilievo unico nell'empireo delle grandi operazioni belliche per la difficoltà "fisica" dell'operazione, per il prestigio indiscutibile degli avversari e per il valore della posta in palio.

È anche il primo caso di manovra per linee interne, un'operazione che sarà ripetuta con alterne fortune fino ai nostri giorni da tutti quei comandanti che devono affrontare minacce provenienti da direzioni opposte.

Il piano è molto complesso e articolato. Prevede, innanzitutto, una ridislocazione delle forze: le due legioni urbane dovranno spostarsi a Nord, precisamente a Narnia, dove potranno opporsi ad un'eventuale penetrazione di Asdrubale verso tale direttrice. Queste truppe saranno rilevate da una delle legioni di stanza a Capua: le due piazzaforti vedranno in questo modo dimezzati i propri organici. Ma a parziale reintegrazione di quelli dell'Urbe, Nerone invita ad ulteriori arruolamenti.

In secondo luogo, il console si munirà di una forza scelta formata da soli 6.000 fanti e 1.000 cavalieri e abbandonerà il campo di notte con tutte le precauzioni possibili, in modo che Annibale non possa sospettare in alcun modo della sua partenza.

La destinazione della colonna sarà tenuta celata agli stessi uomini che la compongono: Nerone mentirà loro affermando che si dirigono all'assedio di una piazzaforte poco lontana e la verità sarà rivelata solo dopo alcuni giorni. Dobbiamo ritenere che unicamente gli ufficiali in seconda rimasti al campo sappiano del vero obiettivo del console.

Unica trasgressione concessa a questa accurata ricerca di segretezza è dovuta per esigenza di celerità: le truppe non possono appesantire il proprio cammino. Nerone ordina che ai rifornimenti provvedano, da sud a nord, le popolazioni dei Larinati, Frentani, Marrucini e, infine, dei Praetutii. Non c'è alcun riferimento alle popolazioni dei Picentes e dei Senones, le cui regioni dovevano pur essere attraversate per raggiungere la destinazione a Fanum Fortunae-Sena gallica.

Forse Nerone pensava che la battaglia si sarebbe svolta più a sud o forse prudentemente riteneva che informare del suo passaggio popolazioni così prossime al nemico, fosse un rischio da non correre.

Diramati gli ordini di questo dispositivo e avvisato il collega console del proprio arrivo, Nerone inizia la marcia che lo renderà famoso.

A Roma nel frattempo si trema: lo sgomento viene paragonato da Livio a quello che aveva colpito i romani nel 211, quando Annibale era arrivato alle porte della Città. E non è un paragone casuale: dopo la partenza del console, sbarra la strada del mortale nemico di Roma non un esercito -- perché da esso è stato tolto tutto il nerbo e manca anche il comando -- ma solo un errore: la convinzione di Annibale che nulla sia mutato di fronte a lui. Quando Annibale si accorgesse della realtà, nulla lo ostacolerebbe dal giungere nuovamente sotto le mura di Roma: con esiti ben diversi da quelli precedenti.

Davanti al fatto compiuto, Roma non riesce ad esprimere un giudizio, ma attende le conseguenze dell'azzardo di Nerone prima di condannarlo o di elogiarlo: nella prima ipotesi con esecrabile ritardo.

La prima fase del piano di Nerone ha successo. Le sue truppe scelte escono dal campo senza che da parte cartaginese ci sia alcuna reazione immediata: il console non può sentirsi per questo tranquillo, tutt'altro. Ogni giorno che passa accresce la probabilità che Annibale si accorga dell'inganno, ma aumenta pure la distanza che separa i due tronconi dell'armata di Nerone e quindi rende quanto mai remota la possibilità di un tempestivo soccorso al campo abbandonato.

Dobbiamo immaginare lo stato d'animo dei soldati rimasti a Canusium: soli, senza i commilitoni più famosi per il loro valore, e la preoccupazione degli ufficiali: abbandonati dal console, senza un'idea sul giorno del suo ritorno, con la responsabilità di un'armata al cospetto di un nemico terribile. Non sono da invidiare.



Il piano di Nerone prosegue, comunque, ed entra nella seconda fase: la marcia verso nord è spedita ed esaltante. Due ali di folla accoglievano trionfalmente la colonna romana e le fornivano tutto ciò di cui aveva bisogno: cibo, mezzi di trasporto per aiutare gli sfiniti e stimolo morale.

La marcia durò sette giorni e otto notti, durante i quali, si stenta a crederlo, Nerone e i suoi uomini coprirono 472 Km. circa, dedicando al riposo solo il minimo necessario a non morire prima della battaglia. Per la cronaca si tratta di un vero e proprio record: una media di 63 Km. al giorno supera di gran lunga i 75 Km. percorsi -- però in terreno ostile -- in 28 ore (con una sosta di 3 ore) da Giulio Cesare nella campagna contro Vercingetorige.

Tanto per fare un raffronto con epoche più moderne, durante il periodo napoleonico una marcia forzata superava molto raramente i 40 Km. al giorno: e siamo solo alla metà di quanto hanno compiuto gli uomini di Nerone.