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LA STRATEGIA DI ANNIBALE NELLA SECONDA GUERRA PUNICA

Annibale stratega

Nicola Zotti



L’obiettivo che guidò la strategia cartaginese durante la Seconda guerra punica era limitato a riguadagnare quanto era stato perso durante la guerra precedente.

La Prima guerra punica aveva consegnato ai romani il controllo del mar Mediterraneo che prima di allora era una faccenda privata tra greci e cartaginesi.

Cartagine (o per meglio dire la famiglia Barca) e Filippo V re di Macedonia, volevano un ritorno allo status quo ante: che per i cartaginesi significava riconquistare i territori e il predominio mediterraneo perduti a vantaggio dei romani durante la Prima guerra punica e per il re macedone sbarazzarsi della lega Etolica che, forte dell’alleanza romana, contrastava il suo domino in Grecia e nei Balcani.

Il partito dei Barcidi era egemone nel Senato cartaginese, ma non senza contrasti. Nelle pieghe della politica cartaginese si annidava un’aperta ostilità all’avventurismo prima di Amilcare e quindi di suo figlio Annibale e nel corso degli anni il Senato cartaginese fu sempre più refrattario a farsi trascinare da loro.

Amilcare e soprattutto Annibale non potevano così contare sull’appoggio totale ed entusiasta della madrepatria: per altro assai inferiore in termini finanziari e, per ragioni politico-demografiche, umani rispetto a quello della popolosa Italia.

Le finanze e il potenziale umano dei cartaginesi, non solo non erano completamente disponibili, ma non sarebbero stati comunque sufficienti all’impresa, e la precondizione strategica era la conquista di una base capace di sostenere lo sforzo bellico.

Amilcare Barca cercò e trovò una soluzione.

La penisola Iberica si prestava allo scopo e l'oobiettivo della sua conquista fu perseguito dai barcidi con tenacia fino al successo per gli oltre venti anni che separano le due guerre.

L’Iberia era ricca e popolosa ma non quanto sarebbe stato necessario per intraprendere una guerra totale, sia per terra sia per mare, come era stata la Prima guerra punica. Poteva però fornire in abbondanza bellicosi mercenari che completavano con le loro caratteristiche quelle delle truppe libico-fenice, e una sicura base nella quale addestrarli il tempo necessario a farne una forza coesa ed efficace: ad Annibale questo era sufficiente.

La penisola iberica non era comunque il punto di partenza ideale per grandi operazioni navali contro Roma, almeno fino a che Massilia fosse stata in mano romana.

Ad Annibale mancava l'elasticità strategica che sarebbe derivata dalla capacità di contestare ai romani con più sicurezza la mobilità nel Mediterraneo. D'altra parte erano questi ultimi ad essere obbligati ad avere via libera nel Mediterraneeo per poter minacciare l'Africa: l'azione di Annibale dirottò una già progettata invasione del continente africano e negli anni seguenti, fino alla spedizione di Scipione, costrinse la flotta romana ad impegnarsi esclusivamente in un intenso pattugliamento delle coste della Penisola.

Le risorse disponibili cartaginesi avevano dunque una distribuzione obbligata: le limitate forze navali dovevano garantire azioni di disturbo e, per quanto possibile, i collegamenti tra le armate di terra. Queste sarebbero state distribuite con tre compiti operativi: un contingente per la difesa della madrepatria, uno per la difesa della base strategica nella penisola Iberica, e infine nell’armata principale, alla quale, sola, era destinato il compito di raggiungere l’obiettivo strategico.

L’alleanza con i macedoni era essenziale per i collegamenti marittimi: i loro rapporti con le colonie greche in Italia e in Sicilia, prima di tutte Siracusa, potevano permettere l’apertura di un secondo fronte contro i romani, ma soprattutto consentivano indispensabili approdi tra l’Africa e l’Italia.

L’impossibilità di avvalersi a fondo della dimensione marittima nella strategia cartaginese non lasciava altra scelta ad Annibale per ottenere l’obiettivo strategico, che attaccare Roma direttamente e per la via di terra. Ma questa, in realtà, non era affatto una scelta: il controllo del mare non era tanto importante per tenere viva la possibilità di uno sbarco in forze in Italia, quanto per lasciare aperta una variabile strategica in più, che in seguito non sarebbe stata sfruttata pienamente: dalla (comunque riluttante) Cartagine sarebbero giunti solo pochi rinforzi via mare con Magone e le scorrerie piratesche che lo stesso Magone compì sulle coste tirreniche.

Lungo la via di terra tra la Spagna e Roma c’erano almeno 4 ostacoli: in successione la città di Sagunto, alleata dei romani; la colonia romana di Massilia in Gallia; le Alpi; le colonie romane della pianura Padana. Per non parlare di altri ostacoli “minori” come fiumi e popolazioni bellicose. Arrivare in Italia sarebbe costato severamente all’esercito che avesse tentata l’impresa.

Anche questa condizione non preoccupava Annibale, che riuscì anzi a trasformarla in sorpresa strategica: il suo fulmineo (per i tempi) arrivo nella pianura padana con forze ridotte ma sempre consistenti, prese di sorpresa i romani che furono costretti ad una difesa improvvisata e totalmente subordinata all’iniziativa strategica che il cartaginese teneva saldamente tra le mani.

Ma un esercito che volesse giungere a Roma nel 218 a. C. non doveva solo conquistare o superare tanti ostacoli: doveva soprattutto avere la consapevolezza che, qualora anche avesse completato il terribile percorso, non sarebbe stato in grado di mantenere aperta una sicura via di collegamento con la base iberica, conquistando e presidiando ogni punto strategico.

Un esercito che fosse riuscito a raggiungere l’Italia non doveva contare su alcun sicuro e consistente sostegno dalla madrepatria, né dalla stessa base in Iberia, ma confidare in via praticamente esclusiva sulle proprie forze nell’ostile territorio italiano: dove lo aspettava un potenziale di oltre 600.000 uomini in grado di prendere le armi.

Annibale non fu fermato nemmeno da questa preoccupazione.

Riassumendo, Annibale:
1) non poteva contare su un forte sostegno della madrepatria, per motivi politici e per circostanze oggettive;
2) aveva un alleato strategico (la Macedonia) che non poteva intervenire direttamente nel principale teatro delle operazioni;
3) aveva una base molto distante e con la quale non poteva mantenere collegamenti sicuri e certi;
4) non poteva avere aiuti sostanziosi e costanti via mare, né, tanto meno, aggiungere una dimensione marittima alla sua strategia offensiva;
5) una volta giunto sul teatro delle operazioni poteva contare solo sulle forze stanche e ridotte che aveva portato con sé e su quelle reperibili in loco.

Una situazione che avrebbe scoraggiato chiunque, ma non Annibale, che volle osare l’unica strategia possibile. Ed era anche la sola persona che avrebbe potuto tentarla.

Di fronte a simili difficoltà, credo che chiunque avrebbe lasciato perdere.

Annibale, invece, era sicuro delle proprie capacità: le aveva sperimentate nella penisola iberica, ma sapeva che le prove passate sarebbero impallidite di fronte a quelle che lo aspettavano in Italia. Eppure era ugualmente sicuro di superarle, straordinario esempio di fiducia in se stesso: i suoi mezzi si dimostrarono infatti eccezionali, ma comunque non sufficienti a capovolgere circostanza tanto sfavorevoli.

Per costringere i romani ad accettare le proprie condizioni di pace, Annibale aveva 3 possibilità: doveva innanzitutto sconfiggere le armate romane che avrebbe incontrato al suo arrivo nella pianura padana; se questo non fosse bastato, avrebbe dovuto spingersi a sud per separare Roma dai suoi alleati, minandone il prestigio con altre vittorie; se anche questo non fosse stato sufficiente a piegare la volontà romana, avrebbe dovuto minacciare direttamente il Lazio e Roma, cingendola d'assedio.

Come sappiamo, Annibale riuscì a realizzare le prime due condizioni, senza ottenere nulla, e la terza condizione era impossibile anche per lui, almeno per la parte che riguardava l'assedio di Roma: irrealizzabile senza macchine d'assedio e senza il controllo marittimo della foce del Tevere.

Tutta l'abilità del più grande tattico della storia militare si rivelò quindi insufficiente a portare a termine un compito strategico impossibile.