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CHI IL PIU' GRANDE?

Annibale o Scipione?

Nicola Zotti

Chi giudica un uomo, non una sua singola azione, ma l'intero patrimonio di azioni che questi ha compiuto durante l'arco della sua vita, compie un atto che per un momento lo pone al di sopra di quell'individuo e di quella vita.

Farlo per uomini della statura di Annibale o di Scipione mi pare scomodo, farlo per entrambi, con il moltiplicatore analitico del confronto, è atto sconsiderato.

Richiede un ego più grande del mio: e vi assicuro che in quanto a questo non scherzo.

Scorrendo libri di storia scritti da autori di varie epoche e nazioni, ho notato una diffusa ostilità del mondo accademico verso Scipione, contrastata da una più marcata simpatia nei confronti di Annibale.

Con la notevole eccezione di Basil Liddell Hart, naturalmente, che a Scipione ha dedicato una celebrativa biografia, la bilancia degli studiosi e degli storici pende a favore del cartaginese.

Troppo giovane e innovatore, Scipione, per essere apprezzato dall'Accademia. Troppo perfetto, forse, troppo sicuro di sé per essere amato persino dal suo popolo, che l'osteggiò non poco.

E la sua reputazione non venne difesa neppure dal circolo dell'Emiliano e da Polibio, che lo tratteggiarono come un cinico manipolatore del popolo, sempre pronto a sfruttare le superstizioni e le debolezze altrui a proprio vantaggio.

Ogni giorno Scipione si immergeva in meditazione nel tempio di Giove: turlupinatura, si sostenne, forse preferendo la fede ritualistica di Fabio.

Sincera profondità spirituale, credo io, che spingeva Scipione a definirsi "mai meno solo di quando era solo".

Annibale nella sua vita fu solo e non più amato in patria di Scipione. I cartaginesi ne sfruttarono le immense qualità militari, soddisfatti che egli supplisse con queste al sostegno di cui furono sempre assai avari.

Ed è sintomatico che avaro e avido lo si sia dipinto da parte romana: forse perché tentava di trovare prevalentemente in Italia le risorse per le sue truppe, come fa ogni esercito di occupazione da che mondo è mondo.

Ma questo è ciò che ci dobbiamo aspettare: né più né meno.

La magnanimità di Scipione nel trattare con gli alleati dei cartaginesi che voleva condurre a sé, diventa perfida astuzia quando Annibale cerca di fare lo stesso con i Socii romani: colore locale che non ci deve impressionare.

Umanamente tanto Scipione che Annibale ci appaiono uomini con uno scopo: quanto importava a Scipione delle sofferenze dei graeculi di Crotone? Quanto ad Annibale dei bruzzi abbandonati alla vendetta romana, o della fame dei suoi concittadini, o della vita dei galli che schierava sempre là dove era più facile essere ammazzati?

Molto poco, perché quelli che i due condottieri dovevano nutrire e salvaguardare erano gli uomini del loro esercito: tutti nel caso di Scipione, solo i migliori nel caso di Annibale.

Il successo nello scopo che si erano prefissi dipendeva da quegli uomini e non da altri.

Strategicamente la conduzione della campagna da parte di Scipione fu non solo impeccabile, che questo è aggettivo adatto per chi segue i manuali, ma geniale: nel senso più pieno e completo del termine.

E segnata da tutti i più limpidi connotati del genio è anche la sua conduzione tattica.

Ciò fa di Scipione uno dei pochi comandanti della storia che eccelsero tanto nella strategia, quanto nella tattica, giungendo anche ad innovare l'equipaggiamento delle proprie truppe.

Ma più ancora di questo -- che a ben vedere non è ancora qualcosa -- Scipione ha vinto: e questo è tutto.

Vinse, ottenendo il grande scopo che si era prefisso: caratteristica questa che altri geni al suo livello -- magari solo per sfortuna come Gustavo Adolfo -- oppure per la limitatezza degli scopi raggiunti -- penso a Turenne -- oppure perché alla fine furono sconfitti -- primo tra tutti Napoleone -- non possono vantare.

Anche Annibale rientra tra questi ultimi: sebbene gli si possa addebitare qualche difetto come stratega -- nonostante Trevor Dupuy lo definisca "il padre della strategia" -- però, come tattico fu rivoluzionario e tanto grande da riempire di sé la storia militare.

E l'eccezionalità di Scipione sta proprio nel farci sembrare umano Annibale.

E' noto l'episodio -- che voglio credere vero -- del secondo incontro tra Scipione e Annibale alla corte di Antioco di Siria, nella quale il cartaginese si trovava, esule, in qualitˆ di consigliere militare. (Plutarco ne dà due versioni, una nella vita di Pirro e l'altra nella vita di Tito Flaminio: una terza, nella vita di Scipione, non ci è pervenuta; Livio racconta l'episodio nel libro XXXV, Plutarco nella vita di Tito Flaminio: nella vita di Pirro ne dà una versione diversa che richiama quella della vita di Scipione, che non ci è pervenuta.

Alla domanda di Scipione su chi fossero i tre comandanti più importanti della storia, Annibale rispose senza esitare nell'ordine Alessandro, Pirro e, per terzo, nominò se stesso.

Alla replica di Scipione che chiese dove si sarebbe collocato se avesse vinto a Zama, Annibale ammise tranquillamente che allora si sarebbe indicato per primo.

Questo paradosso non è la soluzione alla nostra domanda. E' invece l'inequivocabile manifestazione di grande stima reciproca: Scipione non avrebbe rivolto che ad Annibale quella domanda e Annibale non avrebbe concesso che a Scipione quella risposta.

Sulla quale forse dovremmo riuscire a fermare un po' il pensiero.