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LE CONSEGUENZE DI CANNE

Canne: il dopo

Nicola Zotti



(CANNE: LA BATTAGLIA)


Dopo Canne sono ormai forse 120.000 le perdite causate ai Romani e ai loro alleati

da Annibale. Suo fratello Magone rovesciò ai piedi dei senatori cartaginesi 27 litri di anelli d’oro presi dalle dita di nobili romani, a dimostrare quanto la stessa classe dirigente di Roma avesse pagato come tributo di sangue alla guerra.

Maarbale, comandante della cavalleria numida, dopo la battaglia propose ad Annibale di sfruttare il successo con una forsennata corsa di 5 giorni verso Roma, convinto che il semplice presentarsi davanti alla città l’avrebbe costretta alla resa. Il conseguente rifiuto provocò una risposta rimasta alla storia (“Annibale, tu sai ottenere una vittoria, ma non sai come usarne una”) e una diatriba tra studiosi che dura ancora oggi.

Teoricamente con la cavalleria l’impresa era possibile: Giulio Cesare fece addirittura di meglio in Gallia. La fanteria affaticata dai combattimenti, però, avrebbe impiegato almeno 3 settimane per coprire gli oltre 400 km, consentendo a Roma di prepararsi. I Cartaginesi non avevano al seguito macchine di assedio, ma non c’è dubbio che avevano al seguito gli esperti e gli artigiani capaci di costruire almeno le più semplici, come torri e arieti.

Più difficile, ma non impossibile, reperire i materiali necessari per le macchine a torsione, che richiedevano fibre resistenti ed elastiche come il crine della coda dei cavalli e i capelli di donna asiatica.

Probabilmente decisiva la questione logistica: Annibale non aveva una linea di collegamento con la madrepatria dalla quale attingere i rifornimenti necessari ad una guerra statica come quella d’assedio. Roma doveva essere circondata e bloccata da terra e dal mare, ovvero sul Tevere, impresa non tanto complicata quanto impegnativa in termini di personale, mentre gran parte dei suoi uomini avrebbero dovuto spingersi nei territori circostanti alla ricerca di approvvigionamenti. Un’attività che li avrebbe portati sempre più lontani dai loro commilitoni e sempre più esposti agli attacchi di disturbo dei Romani.

Roma, comunque, nonostante le sconfitte e i lutti, riuscì a mantenere saldamente il controllo politico e strategico. Dimostrò unità interna e, soprattutto, di avere la potenza demografica per mettere in campo nuove armate e leader capaci di comandarle. La guida delle operazioni militari venne nuovamente affidata a Quinto Fabio Massimo, che riprese la sua strategia di logoramento dell’avversario.

Annibale si trovò costretto a contendere ai Romani castelli, città, fonti di approvvigionamento: un tipo di guerra non adatto al suo esercito troppo piccolo per controllare un territorio tanto vasto.

Quei suoi successi così eclatanti non avevano provocato l’effetto auspicato di rompere in modo significativo la rete di alleanze sulla quale Roma fondava il suo potere.

Le defezioni degli Italici furono troppo scarse per conferire ad Annibale la forza necessaria per riprendere con energia l’iniziativa militare e il Cartaginese si accontentò di non poter essere cacciato dall’Italia meridionale dove si era stabilito. Dopo Canne, Annibale non vinse più altre battaglie della stessa importanza, ma al contrario subì sconfitte strategiche negli altri teatri di guerra che avevano fatto della Seconda guerra punica una vera guerra globale. in Sicilia, dove un partito ostile a Roma aveva invano cercato di conquistare l’isola. In Spagna, dove Cartagine perse tutte le sue colonie ad opera di Publio Cornelio Scipione, e in Italia quando suo fratello Asdrubale, nel 207, fu fermato e sconfitto sul fiume Metauro, mentre accorreva in suo soccorso alla testa di un’altra potente armata. La sconfitta cartaginese era ormai inevitabile, e sarà proprio Scipione a guadagnarsi il titolo di “Africano”, sconfiggendolo a Zama nel 202.