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LA STRADA VERSO CANNE

Canne: il prima

Nicola Zotti



il percorso di Annibale



Nel novembre del 218 Annibale Barca e la sua armata avevano valicato le Alpi con un disegno strategico temerario: far crollare per forza militare l’architrave della potenza romana, l’estesa rete di alleanze e di colonie che garantivano a Roma un enorme bacino demografico e militare. Annibale aveva ereditato il suo piano strategico dai comandanti cartaginesi che lo avevano preceduto. Fa ancora oggi discutere gli storici militari la scelta di attaccare via terra, penetrando in Italia da Nord dopo aver attraversato i Pirenei, la Gallia coi suoi grandi fiumi e le sue tribù bellicose, e infine le Alpi.

In questo tragitto, Annibale perse forse la metà degli uomini, rimanendo con 20.000 fanti, 4.000 cavalieri e pochi elefanti. Il tragitto via mare sarebbe stato forse preferibile, anche se non esente dal rischio di essere intercettato dalla potente flotta romana, che aveva più volte dimostrato la sua superiorità su quella cartaginese. Per Annibale, però, era più importante giungere nella Gallia Cisalpina, dove le tribù galliche erano in continuo attrito con Roma e ansiose di liberarsi dalle sue mire espansionistiche arruolandosi sotto la sua bandiera. Una volta penetrato in Italia, Annibale non aveva dubbi sulla propria abilità sul campo, e sicuro di poter prevalere sugli eserciti romani in modo talmente netto e devastante da provocare una frattura tra Roma e i suoi alleati, indebolendone i vincoli di fedeltà fino a spezzarli: una forma di “divide et impera” di cui i Romani avrebbero imparato a utilizzare a proprio vantaggio. Roma sola ed isolata sarebbe stata costretta a chiedere la pace che avrebbe finalmente posto un limite alle sue ambizioni nel Mediterraneo.

Anche solo concepire un simile obiettivo poteva essere considerato la follia di una mente megalomane, ma Annibale dimostrò presto che quella fiducia in se stesso non era malriposta. Annibale sarà sempre ricordato come uno dei più grandi comandanti militari della storia. Grande tattico e raffinato stratega, era stato educato al comando e all’arte bellica, assieme ai fratelli minori Asdrubale e Magone, dal padre Amilcare Barca, già protagonista della Prima guerra punica. I Cartaginesi avevano sviluppato un pensiero militare estremamente sofisticato entrando in contatto con il mondo ellenistico, in particolare durante le guerre contro Siracusa per il dominio della Sicilia. Gli eserciti ellenistici non erano più monopolizzati dagli opliti della tradizione classica greca, ma erano diventati estremamente complessi e differenziati. Alessandro Magno aveva dimostrato che la cavalleria per la sua velocità, la sua forza d’urto e la sua imprevedibilità poteva risultare un’arma decisiva, e Pirro, re dell’Epiro, contro il quale Romani e Cartaginesi avevano combattuto battaglie sanguinose, aveva sottolineato l’importanza della manovra. Annibale studiò questi modelli e ne elaborò uno proprio, nel quale ogni componente dell’esercito collaborava con le altre assolvendo un compito predeterminato in un preciso piano di battaglia: quello che oggi chiamiamo “effetto sinergico”.

Il 18 dicembre, appena affacciatosi nella Pianura Padana, infatti, sconfisse le superiori forze romane che sbarravano l’ingresso in Italia sul fiume Trebbia. E l’anno successivo, il 24 giugno, con un’altra schiacciante vittoria sul lago Trasimeno, il comandante Cartaginese si era guadagnato la completa libertà di movimento in Italia, costringendo il Senato di Roma a un cambio di strategia di cui si fece interprete Quinto Fabio Massimo, passato alla storia come il Temporeggiatore.
Fabio era convinto che fosse inutilmente pericoloso sfidare il genio militare di Annibale in campo aperto e tuttavia individuava un punto debole nella sua strategia: la lontananza dalla Madrepatria e soprattutto dalla sua base in Spagna. In queste condizioni, difficilmente il Cartaginese avrebbe potuto ricevere sostanziali rinforzi, e dunque era possibile, sottoponendo le sue forze a un costante logoramento, indebolirle nei tempi lunghi fino a renderle tanto trascurabili che neppure Annibale avrebbe potuto salvarle dalla distruzione.

Ma per quanto danni Fabio poteva infliggere all’esercito cartaginese con la sua attiva opera di disturbo, certo non era in grado di incidere sul corso della guerra in tempi “politici”, mentre la riluttanza allo scontro incrinava la fiducia dei Romani e comprometteva la loro credibilità nei confronti degli alleati.

Il prestigio di Roma richiedeva il ritorno a una strategia più aggressiva, che sradicasse la minaccia cartaginese dal suolo d’Italia una volta per tutte. Era evidente, però, che lo sforzo avrebbe dovuto essere straordinario e Roma attinse generosamente al suo enorme serbatoio umano reclutando un eccezionale numero di nuove truppe, per affidarle ai due consoli di fresca nomina Gaio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo, con il preciso incarico di affrontare Annibale e sconfiggerlo in battaglia.

All’inizio dell’Estate del 216 il Cartaginese era acquartierato a Geronio (Casacalenda in provincia di Campobasso) dove aveva trascorso Inverno e Primavera, sorvegliato a breve distanza dai due consoli dell’anno precedente, Marco Minucio Rufo e Gneo Servilio Gemino. Come sempre ben informato delle decisioni e delle iniziative romane, Annibale verso la fine di luglio abbandonò Geronio dirigendosi verso Canne, una cittadella utilizzata come deposito fortificato, posta tra Barletta e Canosa, dove sapeva erano conservati grandi quantitativi di derrate alimentari e la cui posizione strategica gli avrebbe permesso di interrompere il flusso di grano che da quella regione giungeva a Roma.

Le esigenze logistiche di Annibale non vanno sottovalutate mentre al contrario sono spesso dimenticate nelle analisi strategiche della Seconda guerra punica: la principale preoccupazione del comandante cartaginese fu sempre quella di reperire le risorse necessarie a tenere in campo il suo esercito, muovendosi da un territorio all’altro dopo averlo esaurito, alla ricerca di nuove riserve alimentari. Solo a Capua, territorio ricco, fertile e in ottima posizione strategica tra Roma e il sud Italia, poté fermarsi e stabilire una base permanente.

Il suo movimento verso il fertile granaio pugliese infiammava il conflitto e rendeva obbligata la decisione del Senato di cercare una battaglia. Ma non si sarebbe trattato di una battaglia qualsiasi e per vincerla non sarebbe stato sufficiente un Annibale “normale”: il Genio avrebbe dovuto superare se stesso e passare alla Storia come il più grande Tattico di tutti i tempi.

Stavano infatti per raggiungere la zona di guerra nuove legioni e nuovi rinforzi tali da portare contro Annibale una massa totale di 80.000 fanti e 6.000 cavalieri. Mai Roma aveva riunito in un solo luogo e sotto un unico comando un numero tanto elevato di uomini: alle due armate consolari dei due consoli decaduti (ciascuna di 2 legioni romane e di 2 legioni alleate), si aggiunsero le altre due nuove armate consolari. Come se non bastasse, gli effettivi di fanteria di ciascuna delle 16 legioni furono portati a 5.000 uomini dai normali 4.200.

Fedeli all’incarico ricevuto, i consoli Varrone ed Emilio, giunti a Geronio e riunite te forze, seguirono senza indugi l’esercito cartaginese. Le fonti storiche antiche ce li hanno tramandati in conflitto, descrivendo Varrone sconsideratamente alla ricerca dello scontro ed Emilio, un seguace di Fabio dotato di maggiore esperienza militare, più cauto e circospetto. In realtà le loro decisioni, prese a giorni alterni come voleva la legge romana, ci appaiono coerenti e concordi, e persino frutto di accorti ragionamenti comuni. D’altra parte, una simile massa di persone e animali richiedeva quotidianamente qualcosa attorno alle 150 tonnellate solo in derrate alimentari, un incubo logistico che non poteva essere sostenuto a lungo e spingeva verso una rapida decisione militare.

Giunti il 29 luglio in vista del campo nemico, i Romani il giorno successivo si divisero in due campi: uno maggiore alla sinistra dell’Ofanto e uno minore alla sua destra, di fronte al campo cartaginese, garantendosi così tanto l’accesso all’acqua quanto una protezione dalle famose imboscate di Annibale.

Questi doveva aver già elaborato il suo piano di battaglia e averlo descritto e discusso con i suoi più stretti collaboratori, alti ufficiali quasi esclusivamente Cartaginesi, e anche tra i pochissimi in tutta l’armata a parlare il Punico.

È il momento di ricordare che l’esercito romano e quello cartaginese avevano una composizione completamente diversa. Se i Romani e i loro Alleati erano, infatti, miliziani-soldati che prestavano un regolare servizio militare come parte dei loro doveri di cittadinanza, l’esercito di Annibale, infatti, era un insieme multietnico di mercenari attirati dal ricco bottino garantito dalla sua fama, ma che poi avevano stretto con lui un vincolo di fiducia incrollabile. Un reclutamento tra le popolazione africane soggette o alleate di Cartagine ne costituiva il nucleo originario: veterani di fanteria e di cavalleria lungamente addestrati e temprati da Annibale in Spagna.

Ad essi si erano aggiunti numerosi contingenti tribali arruolati tra le bellicose popolazioni di queste regioni e, infine, nella Gallia e nella Cisalpina Annibale aveva raccolto la parte etnicamente prevalente dei suoi uomini. Ed è forse la più grande impresa compiuta da Annibale quella di averli guidati per quasi vent’anni senza mai dover subire un ammutinamento.

L’abilità di Annibale nell’impiegare le varie componenti del suo esercito a seconda delle loro caratteristiche nazionali, assegnando loro un ruolo nel suo piano di battaglia, è altrettanto straordinaria e ammirevole, anche se costò cara ai Galli che, considerati cinicamente da Annibale “spendibili”, vennero da lui sempre schierati dove i combattimenti erano più accesi, subendo inevitabilmente (anche a Canne) le perdite maggiori.



canne nelle carte del Vaticano


Sulla localizzazione del sito della battaglia vorrei mostrarvi questa foto presa nella Galleria delle Carte Geografiche ai Musei Vaticani. Tra le quaranta carte dipinte fra il 1580 e il 1585 sulla base di cartoni di Ignazio Danti, famoso geografo dell'epoca, c'è questa, che raffigura la battaglia di Canne.

Ora non so se avete idea delle polemiche che negli anni hanno diviso gli storici sulla collocazione del sito della battaglia: sull'Ofanto, ma a destra, a sinistra, più su, più giù, parallelo al fiume, di qua, di là.

Poi Johannes Kromayer negli anni Venti del Novecento ha fissato lo standard, quasi esattamente nella località che Danti aveva individuato circa 350 anni prima.

Per quanto mi riguarda la questione è chiusa.

E ORA LA BATTAGLIA