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aprile 2004

 

Guerra e scontro tra civiltà: omaggio a la Palice


Monsieur de la Palice est mort,
Mort devant Pavia,
Hélas! S'il n'était pas mort
Il ferait encore en vie.

 

C'è un affannoso ripetere che la guerra contro il terrorismo fondamentalista islamico non è uno "scontro tra civiltà".

E' tempo perso perché ogni guerra, da sempre, è anche uno scontro tra civiltà.

Come potrebbe essere diversamente? E perché questa guerra dovrebbe fare eccezione?

Sono gli stessi terroristi a celebrare il proprio attacco alla cultura occidentale
quando dicono che siamo corrotti e decadenti o si compiacciono di amare la morte tanto quanto noi amiamo la vita.

Non ci sarebbe bisogno di affermazioni tanto esplicite. In un atto estremo come la guerra una comunità investe sempre tutte le proprie risorse, a partire da quelle culturali.

Le culture di una società determinano completamente il modo in cui fa la guerra, come influenzano qualsiasi altra cosa abbia origine all'interno di quella società.

Affermazione "lapalissiana" che apre a legittimi sospetti.

Accantonata per rispetto degli interlocutori l'ipotesi della mancanza di facoltà analitiche, ne rimangono solo due.

La prima: l'incapacità di distinguere le diverse culture negli altri, nella fattispecie nell'Islam, e la paura che ne consegue. Se si è intimamente convinti che ogni islamico sia per natura un fondamentalista e che ciò equivalga, almeno in potenza, ad essere un terrorista, è logico che si tema che un miliardo di mussulmani finisca con accorgersene. Mentre invece dovremmo semplicemente accettare il fatto che chi professa l'Islam non è necessariamente un fondamentalista, e che anche questi ultimi non devono essere obbligatoriamente terroristi.

La seconda: una mancanza di condivisione, accettazione e identificazione della propria cultura. Se non ci si riconosce pienamente nei tratti unificanti una civiltà, se ci si sente altro, viene spontaneo mettere le mani avanti e prendere le distanze da una cultura che non si vuole in guerra perché non si ha alcuna intenzione di difenderla.

E non riesco a pensare a qualcosa più degno di essere difesa, anche con la forza, della nostra cultura, che ci insegna a consentire ai fondamentalisti religiosi di esprimere il proprio pensiero, e a impedirgli tuttavia di violare le leggi che ci siamo dati e che tutti dobbiamo rispettare.

Prossima puntata: "Ma non tutti gli scontri tra civiltà sono necessariamente armati".

NZ

 

Diritto di ingerenza


Il 19 aprile 1924, il cosmopolita Byron moriva in Grecia per un virus oggi conosciuto come "diritto di ingerenza per la liberazione dei popoli".

Ne erano afflitti altri nell'Ottocento e anche poi per lunga parte del Novecento
.

Sebbene non nutra particolare simpatia per le malattie del romanticismo, devo riconoscere che la loro sintomatologia comprendeva una nobile ed altruista ansia di liberazione.

Comunque, il virus in questa sua antica forma, dopo aver provocato numerose vittime, è oggi definitivamente debellato.

Sopravvive una sua mutazione radicale, innocua e inconcludente, denominata "no-global".

NZ