Monsieur
de la Palice est mort,
Mort devant Pavia,
Hélas! S'il n'était pas mort
Il ferait encore en vie.
C'è
un affannoso ripetere che la guerra contro il
terrorismo fondamentalista islamico non è
uno "scontro tra civiltà".
E' tempo perso perché ogni guerra, da sempre,
è anche uno scontro tra civiltà.
Come potrebbe essere diversamente? E perché
questa guerra dovrebbe fare eccezione?
Sono gli stessi terroristi a celebrare il proprio
attacco alla cultura occidentale
quando dicono che siamo corrotti e decadenti o
si compiacciono di amare la morte tanto quanto
noi amiamo la vita.
Non ci sarebbe bisogno di affermazioni tanto esplicite.
In un atto estremo come la guerra una comunità
investe sempre tutte le proprie risorse, a partire
da quelle culturali.
Le culture di una società determinano completamente
il modo in cui fa la guerra, come influenzano
qualsiasi altra cosa abbia origine all'interno
di quella società.
Affermazione
"lapalissiana" che apre a legittimi
sospetti.
Accantonata per rispetto degli interlocutori l'ipotesi
della mancanza di facoltà analitiche, ne
rimangono solo due.
La prima: l'incapacità di distinguere le
diverse culture negli altri, nella fattispecie
nell'Islam, e la paura che ne consegue. Se si
è intimamente convinti che ogni islamico
sia per natura un fondamentalista e che ciò
equivalga, almeno in potenza, ad essere un terrorista,
è logico che si tema che un miliardo di
mussulmani finisca con accorgersene. Mentre invece
dovremmo semplicemente accettare il fatto che
chi professa l'Islam non è necessariamente
un fondamentalista, e che anche questi ultimi
non devono essere obbligatoriamente terroristi.
La seconda: una mancanza di condivisione, accettazione
e identificazione della propria cultura. Se non
ci si riconosce pienamente nei tratti unificanti
una civiltà, se ci si sente altro, viene
spontaneo mettere le mani avanti e prendere le
distanze da una cultura che non si vuole in guerra
perché non si ha alcuna intenzione di difenderla.
E non riesco a pensare a qualcosa più degno
di essere difesa, anche con la forza, della nostra
cultura, che ci insegna a consentire ai fondamentalisti
religiosi di esprimere il proprio pensiero, e
a impedirgli tuttavia di violare le leggi che
ci siamo dati e che tutti dobbiamo rispettare.
Prossima puntata: "Ma non tutti gli scontri
tra civiltà sono necessariamente armati".
NZ
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Il 19
aprile 1924, il cosmopolita Byron moriva in Grecia
per un virus oggi conosciuto come "diritto
di ingerenza per la liberazione dei popoli".
Ne erano afflitti altri nell'Ottocento e anche
poi per lunga parte del Novecento.
Sebbene non nutra particolare simpatia per le
malattie del romanticismo, devo riconoscere che
la loro sintomatologia comprendeva una nobile
ed altruista ansia di liberazione.
Comunque, il virus in questa sua antica forma,
dopo aver provocato numerose vittime, è
oggi definitivamente debellato.
Sopravvive una sua mutazione radicale, innocua
e inconcludente, denominata "no-global".
NZ
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