Sappiamo quanto sia pericolosa l'etica delle intenzioni:
con la scusa delle buone intenzioni, del fine
ultimo, si finisce col giustificare qualsiasi
mezzo, anche i più abietti, come la tortura.
Ritengo
la tortura inammissibile in due casi: quando il
reato è stato già commesso, per
ottenere una confessione, e quando il reato è
stato giudicato, come parte della pena.
Personalmente, ad esempio, sono contrario tanto
all'uso indiscriminato della carcerazione preventiva,
quanto al regime del carcere duro.
Però le esigenze informative della guerra
hanno sempre portato con sè metodi contrari
ai diriti dell'uomo per estorcere informazioni
utili e necessarie allo scopo di conoscere e prevenire
le intenzioni dell'avversario.
La guerra al terrorismo è essenzialmente
una guerra informativa e investigativa ed è
quindi evidente che parte importante di essa si
sarebbe giocata in
quella terribile zona oscura.
Un'ombra che copre un dilemma morale: che cosa
si può o non si può fare per costringere
un prigioniero a rivelare notizie utili ad esempio
a sventare un imminente attentato terroristico
che potrebbe causare la morte di decine o centinaia
o migliaia di innocenti?
Era prevedibile che questo dilemma si sarebbe
presentato, perché è avere nella
testa una domanda così che distingue l'etica
delle responsabilità da quella delle intenzioni:
la prima indispensabile ad una democrazia, la
seconda troppo pericolosa per la sua stessa esistenza.
Era prevedibile e andava previsto, e avrebbe anche
segnato una distinzione percepibile con chi un'etica
non ce l'ha e sgozza gli innocenti.
Gli strumenti investigativi e la responsabilità
di chi doveva utilizzarli andavano esplilcitati.
Una conoscenza che avrebbe permesso una condivisione
di quella stessa responsabilità.
Visti gli abusi e l'indiscriminato ricorso alla
violenza senza giustificazioni credo che le dimissioni
del segretario alla difesa Rumsfeld siano indispensabili.
NZ
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