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dicembre 2011
Tempo di bilanci

 

Tra le tante lezioni che possiamo tutti imparare da Napoleone Bonaparte, quella che a me appare la più importante è il valore del tempo.

«Lo spazio posso recuperarlo, il tempo no» ripeteva, in una versione personale, e che a me risulta più chiara, del popolare "chi ha tempo non aspetti tempo".

E questo è anche il mio augurio a voi per il 2012: di utilizzare il meglio possibile i suoi 366 giorni, uno per uno, uno dopo l'altro: oziando se vi va, ma consapevoli di farlo, perché solo in questo modo anche il tempo dell'ozio non è sprecato, ma vitale quanto quello del lavoro.

Per quanto mi riguarda sono sufficientemente soddisfatto di come ho utilizzato il mio tempo nell'anno trascorso, in particolare, naturalmente, di quello dedicato a scrivere qui su Warfare.it.

Il sito in sé non è niente di speciale, anzi: i suoi contenuti stanno scoppiando e dovrei ristrutturarlo per renderlo più utile e facile da consultare a voi lettori.

Ma qui entra in gioco, inevitabilmente, il tempo e il suo utilizzo: spiegare la guerra e cercare nel mio piccolissimo di contribuire al germogliare nel nostro Paese di una cultura storico-strategica richiede molto tempo e molto studio.

Mi accorgo di distibuire le mie parole in modo sciatto, con un livello tecnologico talmente basso che se le scrivessi a matita sui fogli unti di un salumiere forse la differenza nemmeno si noterebbe. Eppure al momento è il massimo che posso fare.

Di questo me ne scuso con voi, per la fatica che vi richiede, senza neppure promettervi che mi emenderò nel prossimo futuro.

Anzi, approfitterò della confessione che rimette il peccato, per peccare ancora in futuro: ma assicurandovi con questo, anche, l'immancabile presenza ogni fine mese, di qualche nuovo scritto.

Buon 2012, sinceramente...

NZ

aprile 2011
Crisi del settimo anno?

 

Sarà, appunto, la crisi del settimo anno, che cade proprio oggi, 30 aprile 2011, ma Warfare.it doveva avere un piccolo scatto d'orgoglio.

Insomma, dopo sette anni che scrivo tutti i mesi, ho cercato un modo per autocelebrare, o forse meglio per autorappresentare il mio lavoro.

il risultato è qui:

gadget

Probabilmente, più che originale, è un'idea decisamente bizzarra, ma se vedete in giro una persona con una di queste magliette dovrei essere io!


NZ

marzo 2011
L'Età del Bronzo e noi



La battaglia di Kadesh, la guerra nell'Età del Bronzo e qualche ragionamento sulla sollevazione libica: argomenti che sembrerebbero distanti se non fosse per il ricorrere nelle storie degli stessi luoghi.

In realtà dovremmo manifestare un po' più di rispetto e di attenzione anche per chi è vissuto, ha combattuto e ha fatto politica 3.000-3.500 anni fa.

Credo che il gioco valga la candela, perché comprendere eventi tanto distanti nei secoli, ci aiuta a capire che cosa è umano e che cosa ricorre sempre nei nostri comportamenti.

Ciò non toglie che ci sia qualcosa di ironico per me nella tripartizione tecnologico-metallurgica delle Età dell'uomo (se mi consentite questa contaminazione tra Esiodo e Christian Jürgensen Thomsen) in Età della Pietra, Età del Bronzo e in Età del Ferro.

Questo omaggio al progresso tecnologico mi crea un'incontrollabile resistenza, per la mia consolidata prevenzione verso la sopravvalutazione del ruolo della tecnologia nel progresso dell'uomo e nelle dinamiche dell'arte della guerra.

Mi adatto a questa scansione temporale per comodità, ma con riluttanza.

Il punto è che l'Età del Bronzo finì drammaticamente, nel Mediterraneo orientale nell'arco di pochi decenni. Le città, i palazzi, le mura che essa in quella regione fu capace di erigere vennero travolti e distrutti da popoli venuti dal mare, tramandandocene solo le ceneri.

Per secoli non solo il progresso si fermò, ma molto fu dimenticato dando inizio ad uno dei tanti Evi Bui della storia.

La forza di quei popoli non era nella metallurgia, perché i guerrieri dell'età del bronzo vengono sconfitti soprattutto da armi di bronzo: era nel numero e nella tattica.

Eserciti il cui nucleo fondamentale era modesto, costosissimo e altamente tecnologico (per l'epoca), basato su carri tirati da cavalli, vennero spazzati via da orde di fanti coraggiosi e spietati, che scoprono il modo di avere ragione di quelle piattaforme mobili di tiro.

Fanti che non si spaventano, ma possono affrontare quel nemico mobile perché protetti da corazze e armati con spade taglienti lance e giavellotti, e che con il loro numero e le la loro determinazione possono conquistare e distruggere le città.



NZ

gennaio 2011
Studiare i classici



Ho preso una notizia a pretesto, questa:

Niente storia, italiano e solo Nord ecco l'università della Gelmini (da Repubblica del 25 gennaio 2011).

In realtà non si parla di abolire Facoltà o insegnamenti, ma della rappresentanza dei docenti nella commissione che si occupa dei criteri di valutazione delle università, che non prevede la presenza di membri provenienti dalle facoltà umanistiche.

Tra i sette prescelti dalla ministra Gelmini per comporre l'Anvur (l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), non ci saranno, quindi, né letterati, né storici, né filosofi, ecc.

Lo prendo a pretesto, dicevo, perché, seppure si tratta di un segnale sicuramente negativo, non si tratta dell'abolizione di insegnamenti: vi prelude, forse, ma non è ancora questo.

Potrei aggiungere che ho serie riserve verso tutte le valutazioni meramente quantitative ("scientifiche"?) e su queste si può comunque ripiegare, anche se si proviene dagli studi classici.

C'è, invece, una corrente di pensiero più profonda nel mondo d'oggi che mi preoccupa e che indubbiamente ha ispirato la decisione della ministra: la non significatività di cià che è "antico" di fronte ai cambiamenti imposti dalla modernità.

È di questo che volevo parlarvi, naturalmente nello specifico di ciò che tratta Warfare.it, ovvero l'analisi strategica.

Il XXI secolo viene rappresentato come un mondo di comunicazioni globalizzate, tattiche asimmetriche e nuove forme di terrorismo, dominato da nuove tecnologie come droni, visori notturni, munizioni guidate dai computer.

Si è diffusa la convinzione, e non solo tra il pubblico, che la guerra stessa si sia trasformata in qualcosa di radicalmente nuovo, mai vissuto dalle generazioni che ci hanno preceduto.

Se mai prima d'ora – è il ragionamento – una formazione terroristica ha diffuso i suoi comunicati e fatto reclutamento su internet, allora si devono escogitare nuove dottrine e nuovi paradigmi per venire a capo di queste nuove tattiche e contrastarle con efficacia.

Ma, e qui veniamo al dunque, che cosa è cambiato nella natura umana?

Perché è la natura umana che guida i confliti, sono gli uomini e le donne che pensano e reagiscono emotivamente a fare materialmente la guerra.

Se la natura umana è rimasta la stessa, se la sua prevedibilità e le sue sorprese appartengono al genere umano come è, come era, come è sempre stato, allora il ragionamento cade e le cose assumono un aspetto diverso.

Il mondo classico della Grecia e di Roma ci offre un'occasione unica per comprendere la guerra di ogni epoca.

Innanzitutto perché alcuni tra i più grandi storici della classicità hanno interpretato la storia innanzitutto come storia delle guerre in quanto erano menti empiriche.

Inoltre, scrivevano, e bene, ciò che avevano visto e pensato senza preoccuparsi eccessivamente dell'opinione popolare dei contemporanei, e senza nemmeno fermarsi di fronte all'eventualità che le proprie considerazioni si scontrassero con le teorie prevalenti o le mode intellettuali (che esistevano anche allora).

Il risultato sono opere di grande chiarezza concettuale di fondo nell'esplorazione dei caratteri e delle personalità, e soprattutto espressione di una fondamentale onestà intellettuale e di una genuinità che al giorno d'oggi è veramente rara.

Basta questo per non abbandonare lo studio dei classici? secondo me sì.

Anzi, è ciò di cui avremmo disperato bisogno...

NZ